Due ragazzi adolescenti hanno l’opportunità di uscire dalle proprie vite. Una ragazza adolescente si innamora e cerca di rendere questo momento senza fine. Un bambino si mette alla ricerca di suo fratello. Un uomo viaggia verso un mondo sconosciuto.
Sono queste alcune delle sinossi degli otto episodi che costituiscono Tales from the Loop, serie creata da Nathaniel Halpern e ispirata alle illustrazioni dall’artista svedese Simon Stålenhag, in cui i tipici paesaggi del suo Paese (nella serie, americani) sono contaminati dai rottami di un futuro che assomiglia molto al passato. Quella di Halpern è una serie che non è mai davvero antologica (i personaggi sono ricorrenti e le loro storie sono intrecciate) ma neanche mai completamente seriale (gli episodi possono essere visti separatamente senza avere grandi problemi di comprensione). Proprio in questa struttura, che guarda al Decalogo di Krzysztof Kieślowski, sta la forza di una serie che si emancipa dalla necessità di un arco narrativo e concede allo spettatore la possibilità di ignorare volutamente i fatti (in alcuni casi di enorme portata) che determinano il background dei personaggi, per concentrarsi sul singolo momento di cui questi sono protagonisti ed empatizzare con loro per quello che stanno vivendo nel frangente della loro esistenza in cui capita di guardarli. La stagione ci parla di Jakob Willard, May, Cole Willard, Geroge Willard, Loretta Willard e Russ Willard. Il singolo episodio ci parla del ragazzo, della ragazza, del bambino, dell’uomo, della donna e dell’anziano.
Come in molte altre serie sci-fi, anche in Tales from the Loop i personaggi “subiscono” la tecnologia molto più di quanto non riescano effettivamente a controllarla. Ma a differenza della fantascienza tradizionale e a differenza della serie di fantascienza antologica a cui oggi spesso ci si riferisce, cioè Black Mirror, lo show di Nathaniel Halpern non è interessato al commento sociale e non vuole farsi ammonimento. Tales From The Loop è fantascienza sentimentale, in cui ogni classico stratagemma del genere (alterazioni del tempo, passaggi dimensionali) viene utilizzato per mettere in crisi i propri personaggi e condurli ad una presa di coscienza.
Anziché rendere la serie un lungo disvelamento della propria misteriosa premessa (come fanno invece tutte le altre), Tales From The Loop accetta il mistero come componente essenziale della sua narrazione. Non pone delle domande a cui dare risposta nel corso della stagione, magari con una grande rivelazione finale, ma risponde già nella prima puntata a molte di esse così da non doversi preoccupare di soddisfarne successivamente altre. Piuttosto che spiegare come avvengono gli eventi di cui si narra, Tales From the Loop indaga il significato che questi eventi hanno per ciascun personaggio. Se spesso il “piacere” della narrazione sta nella scoperta dei suoi meccanismi, nella soddisfazione della sopraggiunta comprensione, in questo caso l’approccio umanista (quindi limitato per definizione) esclude a priori una conoscenza profonda delle cose. Non è l’attesa di una svolta il motore della narrazione, ma lo svolgersi dell’attesa. Non sono le risposte a legare gli otto episodi insieme, ma le domande che questi si pongono.
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