Film tra i meno conosciuti di John Huston, Il Tesoro dell’Africa è una raffinata parodia del suo precedente Il Mistero del Falco (anche quello con Humphrey Bogart). Più in generale del suo stesso cinema (di cui è parodia, ma anche analisi ed autocritica) e del thriller avventuroso di cui era diventato uno dei maggiori esponenti. Anche in questo caso va in scena una improbabile ed eterogenea compagnia di avventurieri in caccia di un tesoro mitico: tra questi anche Robert Morley in uno di quei ruoli generalmente affidati a Sydney Greenstreet (a cui Morley fa esplicitamente il verso) e Jennifer Jones nei panni di una Ava Gardner o Yvonne De Carlo da cinema americano esotico di inizi anni ’40, che dice al marito che i suoi compagni di scorribanda non sono raccomandabili perché non le vedono mai le gambe e con una parrucca ossigenata alla Marilyn Monroe ammicca alla sua precedente filmografia di donna fatale.

John Huston, accusato di simpatie comuniste (aveva aderito qualche anno prima al “Comitato per il primo emendamento” in opposizione al controllo del governo sull’industria cinematografica), rifiuta per le riprese in Italia di coinvolgere attori e tecnici sospettati di avere legami con il Partito Comunista, assicurandosi così in patria il favore di certo pubblico e certa stampa. Comincia nel 1953, nelle vicinanze di Ravello, le riprese del film, ispirato molto liberamente al romanzo di Claud Cockburn di cui lo stesso Bogart aveva acquistato precedentemente i diritti per la trasposizione cinematografica. La sceneggiatura, che era stata inizialmente affidata a Peter Viertel e Anthony Veiller, non lo convince per nulla, ma decide comunque di partire per Roma.

È lì che incontra Truman Capote, a cui viene affidato il compito di riscrivere i dialoghi (a loro si unisce poi per qualche tempo anche il fotografo di guerra Robert Capa, un anno prima di calpestare la mina che gli sarà fatale). Avendo la necessità di rimettere mano ad una sceneggiatura ritenuta non adeguata, Huston sceglie di seguire il metodo di Rossellini e di scrivere di notte con Capote le scene che girerà poi la mattina successiva. Il risultato è sfuggente e sgangherato (il commediografo Harry Kurnitz dirà: “non importa che entriate nel cinema a proiezione iniziata, vi parrà in ogni caso di aver perduto almeno metà del film”). Di grande interesse filologico è invece la sequenza dell’attentato a Harry Chelm, in cui Huston viviseziona il thriller attraverso il montaggio, gli effetti sonori e le luci. A testimonianza della grande conoscenza del genere che è richiesta quando si decide di non obbedirgli.

Durante le riprese, Bogart perde diversi denti in un incidente d’auto. A doppiare alcune battute dell’attore, che non può più esprimersi in maniera chiara, viene chiamato un giovane sconosciuto con un incredibile talento nell’imitare le voci. Il suo nome è Peter Sellers.