Se c’era una cosa che accomunava due film così diversi come Blue Ruin e Green Room (al di là del rimando ai “colori”) era il modo in cui la violenza si imponeva nella narrazione senza alcuna celebrazione, arrivando in maniera rapida e feroce anche per un solo secondo capace di cambiare ogni cosa. Anche in Hold the Dark i personaggi moriranno per pochissimo e la violenza non sarà mai sbocco di un processo di accumulazione, ma un gesto improvviso che non è preceduto da nulla e a cui non segue alcuna elaborazione del dolore. Jeremy Saulnier con il suo noir glaciale sembra voler fondere in unico film, un po’ “revenge movie” come Blue Ruin e un po’ “survival” come invece era Green Room, i suoi due lavori del 2013 e del 2015.

Ma se il personaggio principale di Hold the Dark è di nuovo un uomo incapace di reggere la carneficina che prima o poi lo coinvolgerà, il marine di Alexander Skarsgård, a cui il film dedica una narrazione parallela, è invece un assassino che uccide senza provare alcun rimorso, mosso solo dallo scopo che vuole raggiungere (e sul quale il film cerca di essere il più ambiguo possibile). Quello di Vernon è quindi un personaggio indecifrabile agli occhi di chi guarda, ma anche il solo che sembra essere davvero conscio delle proprie azioni per via della lucida follia con la quale procede nel suo cammino di sangue (la reale consapevolezza del personaggio, che sembra emergere chiara dalle immagini, sarà però messa in discussione da ciò che sappiamo su di lui, delle missioni in Iraq e del suo oscuro legame con la moglie).

Quella che dovrebbe essere una vicenda famigliare (quindi minuscola e personale) si inserirà invece in una narrazione dal respiro epico, capace di includere diverse generazioni e persone che nulla hanno a che vedere con i problemi dei personaggi che vediamo. La dimensione sempre più ampia del film verrà rivelata pian piano dalla sceneggiatura, ma la regia la suggerirà fin dagli inizi attraverso numerosi cambi di genere, arrivando persino a concedersi alcune sequenze da “war movie” in piena regola. Saulnier rimuove qualsiasi forma di ironia (che invece era ben presente nei suoi lavori precedenti) e sceglie un luogo freddo e nevoso nel quale collocare il suo film. Ma la neve, a differenza di quella di Wind River, non uccide e non sembra essere pericolosa, ma serve per nascondere cadaveri e per seppellire colpe da riesumare solo quando è ormai avvenuta la loro espiazione.

Se l’indagine di cui parla il film non appassiona come dovrebbe, è anche vero che lo scopo di Saulnier non pare mai essere davvero quello. La decisione di inserire la grande esplosione di violenza ben prima del finale del film non favorisce lo sviluppo di alcun climax, ma invece evidenzia una cadenza della narrazione sempre irregolare ed imprevedibile. Il coraggio nel non voler cercare la soddisfazione del pubblico (che da film del genere vuole cose ben precise) è il più grande pregio e forse il più grande problema di un’opera la cui messa in scena dal rigore formale impeccabile è percorsa da una insicurezza che invece si rende spesso palese nello svolgersi della trama.

I due attori principali scelgono entrambi uno stile di recitazione distaccato, eppure se ne servono per raggiungere obiettivi differenti. Jeffrey Wright riuscirà a comunicare le proprie emozioni attraverso pochissimi gesti, mentre Skarsgård lavorerà di sottrazione per delineare un personaggio che è spinto da una forza di volontà ferrea ed allo stesso tempo turbato da una inquietudine che lo fa sembrare sempre fuori luogo (un po’ come il personaggio da lui già interpretato in Mute di Duncan Jones).

Il nuovo film di Saulnier da un lato vorrebbe essere pulito e compatto come Blue Ruin e Green Room, dall’altro carica ogni inquadratura di significati allegorici che appesantiscono una narrazione di per sé non particolarmente equilibrata. Alla fine quindi Hold the Dark sembra in realtà voler replicare quello che già cercava di fare (riuscendoci) il The Grey di Joe Carnahan, ovvero rendere su schermo la morte come esperienza non solo carnale e fisica, ma soprattutto spirituale e trascendentale. Non sempre il film colpisce nel segno, ma la violenza che lo squarcia può essere tanto brutale quanto stranamente piacevole per chi è disposto a lasciarsi trafiggere da essa.