Girata con pochissimi soldi ma piena di piccole idee vincenti, la commedia giapponese Zombie contro Zombie è riuscita qualche anno fa a incassare milioni in tutto il mondo proponendo un inedito mix tra horror a basso budget, metacinema, amore per il medium e caustica parodia dei mezzucci commerciali che muovono l’industria, riuscendo nel miracolo di tenere tutto assieme. Non è un caso che a quel film si sia appassionato Michel Hazanavicius, regista di The Artist e Il mio Godard, da sempre abituato a realizzare film che parlano di cinema e di chi lo fa, spesso con un approccio smitizzante e con un travolgente gusto per l’artificio evidente e posticcio. Come il titolo originale di Shin’ichirô Ueda, anche il remake francese comincia con un finto piano sequenza di trenta minuti: uno zombie movie che immediatamente si presenta con inspiegabile dilettantismo e di cui, solo nel corso della narrazione, capiremo origine, intoppi e l’accidentato piano di riprese. Ancora di più che nel film di Ueda, però, il piano sequenza iniziale di Hazanavicius, che getta le basi teoriche e narrative di tutta l’operazione, appare appositamente brutto e sgraziato, disinteressato ad alimentare l’illusione di trovarsi davanti a un film horror credibile e dignitosamente confezionato. Nonostante ciò, il lungo incipit non è mai parodistico o realmente comico, ma effettivamente faticoso da guardare come spesso faticosi da guardare sono i film dalla pessima fattura, che mettono costantemente a dura prova i nervi dello spettatore. Da quel punto in poi, come già faceva il modello giapponese, viene ripescata la dinamica di Rumori fuori scena e adattata alla storia di un regista che si definisce da solo “rapido, economico e decente”, a cui viene affidato un compito difficile, costellato di problemi e difficoltà: realizzare uno zombie movie in presa diretta che metta in scena le vicissitudini di una troupe cinematografica che si ritrova assalita da zombie veri mentre cerca di girare un film con degli zombi falsi.

Pur seguendo quasi pedissequamente il copione di Ueda, il remake di Hazanavicius è però meno sfacciatamente ammaliato dalla propria componente metacinematografica, ma piuttosto cerca di inserirsi, con modestia e ironia, nel filone tracciato da The Disaster Artist: quello dell’omaggio alla serie Z (evidente fin dall’allitterazione nel titolo), che solo superficialmente racconta come si realizzano i film, ma che in realtà vuole spiegare al pubblico che nell’atto di fare cinema non conta tanto la qualità del prodotto finale in sé (che spesso è imprevedibile e, appunto, può essere anche pessima), ma quello che accade sul set, i piccoli inconvenienti che rafforzano lo spirito del gruppo di lavoro e che possono essere risolti solo nel momento in cui la crew trova il giusto affiatamento. Rispetto all’originale nipponico, quindi, in Cut! Zombi contro zombi occupa maggiore spazio il racconto famigliare ed emergono più chiaramente i problemi del regista con la moglie ex-attrice (che è Berenice Bejo, moglie di Hazanavicius nella realtà) e la figlia, integerrima aspirante regista che cova ambizioni più alte di quelle del padre (che è Simone Hazanavicius, figlia del regista). Proprio in questo evidente cambio di focus sta la forza di un film che, nel corso della sua durata, sembra sempre suggerire di poter essere migliore di quello che è. Lì dove il film giapponese tentava, almeno parzialmente, di tenere vivo l’inganno e di rendere il piano sequenza iniziale tutto sommato cinematograficamente verosimile, prima di svelarne i retroscena, il remake francese punta fin da subito sull’esibizione della goffaggine, sul disvelamento del trucco, non facendo mistero dei suoi intenti.

Attuando questa scelta, Hazanavicius inceppa con l’imperfezione umana e la fallibilità tipica delle opere fatte con due soldi quel meccanismo narrativo che così perfettamente faceva girare gli ingranaggi ben oliati dell’opera di Udea. Al centro del suo film mette invece l’amore e la passione per il mezzo, riuscendo a esprimerla in maniera ancora più sincera e compiuta rispetto al testo originale forse proprio grazie al venire meno di qualsiasi forma di riguardo verso la tecnica. Ci si abbandona completamente alla gioia del processo, senza curarsi di stupire lo spettatore con acrobazie di regia. Se One Cut of the Dead puntava ad affermare un’idea di cinema che riesce a colmare le proprie mancanze economico-tecniche con l’invenzione e l’ingegno, Cut! Zombi contro zombi ne esalta una completamente opposta, in cui alla mancanza di talento si può sempre rimediare con la buona volontà e la capacità di mettere una toppa dove serve.

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