Venezia 75, Roma: il film di Cuarón che rielabora fatti e ricordi in cinema
Alfonso Cuarón in Roma rimaneggia delle vicende reali, quelle della sua infanzia, per farne qualcosa che è sempre riconducibile al cinema
Alfonso Cuarón in Roma rimaneggia delle vicende reali, quelle della sua infanzia, per farne qualcosa che è sempre riconducibile al cinema
First Man, come ogni altro film di Damien Chazelle, narra di grandi ambizioni che per essere soddisfatte devono necessariamente scontrarsi con difficoltà altrettanto importanti
Gary Ross riesce benissimo nell’omaggiare la serie di Soderbergh senza però avere la forza di usare quello che era il fulcro di ogni suo episodio, ovvero il carisma dei personaggi e dei divi che li incarnano, per fare qualcosa di diverso.
Il grande merito di Aster sta sicuramente nel voler proporre un tipo di cinema horror che non vuole tanto far paura per quello che racconta, ma per il modo che sceglie nel farlo
Senza ombra di dubbio Gli Incredibili 2 riesce a fare al meglio ciò che ogni cinecomic vorrebbe fare: unire l’azione all’umorismo.
Come spesso avviene per i film che provengono da Paesi che vivono una difficile crisi sociale, sarebbe facile ridurre anche la nuova opera di Kornél Mundruczó ad una allegoria dell’Ungheria di Orbán. Eppure Mundruczó sembra non avere alcuna voglia di schierarsi, realizzando invece un film che insegue le grandi
C’è un dramma enorme sullo sfondo di Summer 1993 che non diviene mai angoscia, perché chi dovrebbe provare quel senso di dolore è così piccolo da non riuscire ad elaborarlo in maniera razionale.
Nel cinema di Soderbergh non è quasi mai la narrazione a veicolare un messaggio, ma il medium che usa per girare (o per produrre) i suoi film. Quindi quale mezzo migliore di un iPhone per narrare una vicenda di ossessioni maniacali ?
In Tully sembra esserci un disaccordo fra ciò che vorrebbe narrare Diablo Cody (che il film lo ha scritto) e ciò che invece vorrebbe comunicare Jason Reitman (che il film lo ha diretto)
“Conformarsi sempre, ma in gran segreto disobbedire”. È uno dei consigli che Emily Dickinson riceve nel corso di A Quiet Passion, ma è anche la filosofia a cui da sempre aderisce il cinema di Terence Davies.