Past Lives, primo film semi-autobiografico della drammaturga coreana, naturalizzata americana, Celine Song, è un capolavoro di minimalismo che emoziona senza dire troppo sui sentimenti dei suoi protagonisti: due amici di infanzia si perdono e si ritrovano e noi, da spettatori, seguiamo l’evolversi della loro relazione in tre archi temporali, in cui i due si sfiorano continuamente senza mai aver modo di esprimere pienamente quel sentimento che li ha tenuti insieme, nonostante la distanza e le separazioni, in tutti questi anni. Ispirandosi al fatalismo amoroso dello “in-yeon”, proprio della tradizione coreana, quello di Song è un film di grande potenza che dice molto dell’amore inespresso e incompiuto, che non nasconde l’influenza verso il cinema d’autore americano (ovviamente alle mente viene subito Richard Linklater) e indugia in una leggera malinconia, in una dolce disillusione sui propri sentimenti, molto moderna e contemporanea.
Separati dalla partenza di Nora (una perfetta Greta Lee) verso gli Stati Uniti, i due giovanissimi innamorati di Seoul si cercano e si ritrovano attraverso due decenni, senza sapere cosa fare della loro reciproca attrazione e del divario culturale che li separa. Un racconto che avrebbe potuto facilmente crollare sotto il peso del suo stesso sentimentalismo e che invece in Past Lives finisce per non riguardare tanto la rifioritura costante di una relazione, il resistere di un amore alle difficoltà e agli inconvenienti, quanto l’esumazione e l’analisi di quelle possibilità di cui il passato era un tempo gravido e che adesso - ci si accorge - non sono più lì per essere colte. Il film di Song si espande e si decomprime nello spazio: quello intangibile tra le parole e quello fisico tra i corpi. La macchina da presa inquadra spesso Nora e Hae Sung l’uno di fronte all’altro, come se i due si stessero per avvicinare senza mai farlo davvero, come particelle in un campo magnetico che le attrae e le respinge senza permettere collisioni e contatti.
Non solo l’amore accomuna i due protagonisti, ma anche la difficoltà di lasciarsi alle spalle il proprio vecchio sé. Nora è ovviamente cambiata e la versione di lei che Hae Sung conosceva non esiste più. Lei è una capsula del tempo per lui, come lui lo è per lei. L’uno nell’altro, possono visitare e piangere ciò che erano una volta. Se i film romantici tendono a seguire uno schema molto rigido – il ragazzo incontra la ragazza, il ragazzo perde la ragazza, ricongiungimento finale – questo Past Lives immagina una forma trascendente di amore per Nora rispetto agli uomini della sua vita, che può essere intellettuale, platonica e romantica allo stesso tempo. Che li abbraccia tutti e li protegge come presenze ugualmente preziose. Il concetto, secondo la filosofia coreana, è che, per trovare davvero la propria anima gemella, si deve prendere sul serio ogni interazione, anche fugace o casuale, dal momento che ogni incontro è un passo fondamentale per arrivare a “quello che deve essere” (wonleh geuleonkeoya, 원래 그런거야): a quello “che è scritto”, maktub, in un senso religioso.
Se si ignora qualcuno lungo il cammino o se, peggio, lo si maltratta, si è condannati a perdersi, in un profondo senso metafisico: a non trovare mai il proprio amore né il proprio destino. L’enfasi, nella filosofia dello “in-yeon” è perciò sul viaggio piuttosto che sulla destinazione, sulla compassione che si deve a tutti coloro che incrociamo lungo la strada e non solo alle persone più vicine, quelle che finiscono per comporre il proprio nucleo famigliare. Pensando poi alla lunga tradizione popolare e spirituale legata al concetto di reincarnazione, si capisce come il prendersi e lasciarsi dei due protagonisti di Past Lives non riguardi solo il presente, ma anche, appunto, le “vite passate”, di cui lo spettatore (e gli stessi personaggi) non ha nessuna conoscenza pregressa, non potendo sapere se, almeno in un’altra esistenza, sotto un’altra forma, quell’amore abbia avuto effettivamente modo di compiersi.
Ciò che colpisce di questi amanti è la profonda cura e l’assoluto rispetto che dimostrano in ogni occasione gli uni per gli altri, senza gelosie ed egoismi, ma plasmati dalla maturità che deriva dalla distanza e dal tempo. Il sorriso di Greta Lee rimane sempre a metà tra la felicità conquistata e quella a cui si è dovuto rinunciare, mentre Teo Yoo e John Magaro declinano in maniera differente il maschile (la sua insicurezza e la sua stupidità) senza cadere nello stereotipo. La colonna sonora di Christopher Bear e Daniel Rossen dei Grizzly Bear accompagna con eleganza la narrazione di un film che vive già da piccolo cult e che si inserisce perfettamente in quello schema produttivo che ha segnato, in tempi recenti, il successo di Minari e di Drive My Car.
Celine Song riesce a commuovere, a far provare un senso di insoddisfazione allo spettatore che ovviamente tifa per la coppia, affinché il loro amore si possa realizzare concretamente, ma allo stesso tempo rende questa storia così tormentata, per sempre incompiuta, quasi desiderabile, tanta è la dignità che dimostrano in ogni momento i personaggi coinvolti. Persone con cui il destino è stato decisamente gentile e che per questo decidono tacitamente di non “sfidarlo”, chiedendogli qualcosa in più di quello che già hanno. Personaggi scissi tra la necessità di agire (dimostrandosi generosi e attenti agli altri, secondo lo “in-yeon”) e la passività di chi aspetta di conoscere ciò che la vita ha apparecchiato per loro. L’esempio di come ogni relazione sana dovrebbe essere nel momento in cui il sentimento amoroso rimane frustrato, inespresso, non corrisposto. Uno stimolo ad accettare che le cose non vanno sempre come i film, maliziosamente e crudelmente, ci raccontano.
Il film, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023, arriverà in sala il prossimo 14 febbraio.
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