Correva l’anno 2000 e nell’episodio finale della serie Freaks and Geeks, John Francis Daley (Sam, uno dei protagonisti) introduceva James Franco alle gioie delle serate tra amici scandite dai turni dei giochi di ruolo. Una mitica campagna di Dungeons and Dragons chiudeva romanticamente lo show e anticipava l’inizio di una lunga età dell’oro della commedia americana. Lo stesso Daley, due decenni dopo, lo ritroviamo dietro la macchina da presa per adattare nuovamente la licenza di D&D per il grande schermo, al fianco del suo compagno di una vita, Jonathan Goldstein. Il nuovo film dedicato al gioco di ruolo più famoso del mondo torna alla vera essenza di quel fenomeno, ovvero la dimensione goliardica e festosa, vagamente cameratesca, e allo stesso tempo riesce a dire qualcosa di molto serio sul tentativo del cinema americano di creare universi paralleli in cui rifugiarsi per evadere da quello reale.

Dungeons & Dragons: L’Onore dei Ladri è uno di quei film anni ’80 in cui l’umorismo conta più dell’azione. Uno di quelli in cui i personaggi principali sembrano uscire da situazioni difficili e rischiose sempre attraverso la soluzione più ridicola e non quella più coraggiosa o eccitante. Non deve sorprendere, considerando i precedenti lavori di Goldstein e Daley, già registi di Game Night e sceneggiatori di Spider-man: Homecoming e Piovono Polpette 2: autori dalla scrittura ironica e precisa, specializzati in action comedy che qui, al primo progetto con un budget davvero sostanzioso, non tradiscono le aspettative e consegnano un film che sostituisce l’epica con la leggerezza. La chiave di tutto è comprendere come il mondo di Dungeons & Dragons sia decisamente più rilevante della storia che si svolge al suo interno, come il suo successo planetario sia dovuto al fatto che i giocatori si sentono coinvolti in prima persona nel viaggio da compiere e non tanto perché attratti dalla conquista finale che li attende al termine delle loro peripezie. È un sistema di gioco che le persone hanno amato per decenni, anche senza il bisogno di una tavola o del monitor di un computer davanti: è innanzitutto un passatempo tra amici, un pretesto per condividere qualche ora di scemenze gloriose ed esilaranti. Ed è esattamente quello che fa L’Onore dei Ladri.

Chris Pine è in forma smagliante nei panni del bardo-avventuriero Edgin Darvis, leader di un clan di irresistibili ladri. Al suo fianco c’è Holga (Michelle Rodriguez), una barbara dalla grande tenacia e determinazione. Li incontriamo già imprigionati dopo un fallito tentativo di rapina. Non sono cattivi, di per sé, ma comunque il viaggio che li attende li condurrà a mettere in discussione la propria etica. Lungo la strada, si alleeranno con uno stregone (Justice Smith) e un druido (Sophia Lillis, che ruberà probabilmente il cuore di ogni appassionato giocatore), e sul loro percorso incontreranno vari nemici: maghi, paladini, guerrieri non morti, draghi obesi, bestie improbabili, illithid, impostori e lurker. Uno dei tocchi brillanti in sceneggiatura sta infatti proprio nel costringere questa variamente assortita combriccola di “eroi” a divagare dall’obiettivo principale per impelagarsi in tantissime missioni secondarie sempre più bizzarre. L’obiettivo principale è quello di salvare la figlia di Edgin, Kira (Chloe Coleman), imprigionata nella torre del castello. Ma, per farlo, avranno bisogno di un oggetto magico, che è nascosto in un caveau, ma per entrare nel caveau avranno bisogno di un elmo incantato, ma per ottenere l’elmo dovranno ingegnarsi con un po’ di negromanzia, ma per farlo… e così all’infinito.

In questo modo, Dungeons & Dragons: L’Onore dei Ladri trova la sua dimensione ideale: quella di un enorme gioco cinematografico che invita il pubblico a passare due ore di allegria con lui, accettando, proprio come avviene in una sessione del gioco di ruolo, le imprecisioni, le ingenuità, le soluzioni grossolane, le scelte non propriamente razionali che si prendono solo per provare ad alzare ancora di più l’asticella del divertimento.