Sia che si parli di apparizioni paranormali come quelle di Personal Shopper, che si proponeva al pubblico con immagini false che rivelavano la finzione della narrazione, sia che invece si parli di persone normali che fanno cose ordinarie, Olivier Assayas cerca sempre il modo di svelare a chi guarda l’origine ingannevole dei suoi film. Anche quindi nella sua nuova opera ci sono sequenze che irrompono in una vicenda così “regolare” con la carica che solo la finzione può avere, seguendo la Binoche (la cui fama diverrà un modo per squarciare il velo di ipocrisia che circonda quei film che vorrebbero essere uguali al mondo che conosciamo) in un improbabile serial poliziesco che sarà deriso assieme alla mania odierna di “rilassarsi” sul divano vedendo una serie TV di quelle moderne, che “ricevono sempre buoni giudizi” (a differenza dei film).

Essendo quindi un cinema che parla di sé, anche i numerosi dialoghi verbosi di Doubles Vies sulla reale urgenza di passare dai libri agli e-book non sono che un modo per parlare di ciò che il cinema è oggi, sempre meno riconducibile all’esperienza del grande schermo e invece “consumabile” anche sui cellulari (che se nella sua opera di due anni fa erano un modo per sedurre ma anche per impaurire, qui sono invece il mezzo per il quale si fruisce di ogni cosa).

I film di Assayas non vogliono mai affermare una convinzione, bensì indagare qualcosa lasciando che siano le discussioni fra i personaggi (ognuno dei quali incarna un parere diverso) a rendere su schermo problemi che, essendo complessi, non possono essere risolvibili con la ferrea imposizione di un pensiero univoco. Ma Doubles Vies non è per nulla un film impersonale (l’ironia di Assayas graffia e colpisce più che mai, suggerendo in più di una occasione quale sia la sua posizione) ma semmai uno di quelli che affida ai personaggi delle idee che usa per ridisegnare le relazioni che ci sono fra di loro: esporsi con un proprio giudizio vuol dire rivelare qualcosa di sé e di ciò che si pensa delle persone che ci circondano.

Nella narrazione corale che da sempre è il segno di Assayas sono decisivi i pochi secondi in cui vediamo un personaggio isolarsi dal gruppo, sedersi in un angolino e fuggire dalla compagnia della propria ragazza o dei propri amici. In un film in cui ognuno sembra avere il bisogno di dire la sua, i silenzi assumono quindi una valenza nuova e ci suggeriscono qualcosa che i dialoghi nascondono (i personaggi parlano di qualsiasi cosa fuorché delle loro emozioni).

Proprio come Summer Hours (uno dei suoi capolavori) anche Doubles Vies può sembrare in apparenza una commedia innocua, ma è invece un lavoro di analisi del cinema sul cinema: se nel primo caso ogni oggetto che la madre lasciava ai propri figli dopo il suo addio veniva condiviso con il pubblico perché passava per il mezzo filmico, così nel nuovo film di Assayas il mezzo che il regista usa per narrare la sua vicenda si palesa agli occhi di chi guarda e si rende individuabile, svelando la finzione su cui si regge ogni cosa. Il cinema di Assayas è sempre una menzogna, non così diversa da quelle che i suoi personaggi si dicono per riuscire a salvare le proprie relazioni in rovina.