Claudio Bisio, passati sei anni da quella elezione fortuita a Presidente della Repubblica messa in scena nel film (molto classico e morigerato) di Riccardo Milani, è di nuovo Giuseppe Garibaldi, stavolta Presidente del Consiglio per un governo di “candidi” e sovranisti che vorrebbero manipolarlo come una marionetta. Ma Peppino Garibaldi è un “burattino senza fichi”, che accetta l’incarico solo per cercare di riconquistare sua moglie, che lo ha lasciato perché stufa di andare a funghi e di inseguire la perfetta lievitazione del pane e desiderosa di tornare al Quirinale per proseguire la sua carriera professionale. Per fare di nuovo colpo su Janis (prima Kasia Smutniak, ora Sarah Felberbaum) è disposto a “cambiare l’Italia” per lei e ad inventarsi l’hula hoop come il presidente fantoccio nel film dei fratelli Coen del 1994. Al timone di questo “instant movie” che, a differenza del primo film, vuole rendere riconoscibili i suoi personaggi, con nomi e cognomi fittizi ma tutti riconducibili facilmente alle loro controparti nella realtà, c’è la coppia Stasi e Fontana. Registi che già con Metti la nonna in freezer avevano dimostrato di intendere la commedia in maniera dinamica (figlia del cinema di montaggio di Edgar Wright) e tecnicamente sofisticata, promuovendo un modo diverso di fare cinema comico in Italia. Se la rivoluzione di Bisio deve per forza passare per “l’educazione” degli italiani, così Stasi e Fontana propongono al pubblico un tipo di cinema a cui forse non è mai stato abituato.

Dovendo quindi mettere in scena una sceneggiatura molto tradizionale (e non sempre brillante come crede di essere), Stasi e Fontana impongono il loro stile fatto di montaggi musicali (tantissimi solo nella prima mezz’ora di film) e inquadrature sature di elementi, in grado di comunicare qualcosa anche solo attraverso un elemento di arredo o il dettaglio di un oggetto. Bentornato Presidente è un film in cui la regia partecipa all’umorismo (spesso le maggiori risate vengono strappate da uno stacco di montaggio e non da una battuta degli attori) e non si limita ad essere funzionale agli scambi comici fra i personaggi. Ricca di idee visive che sfruttano sapientemente i movimenti di macchina e l’illuminazione degli ambienti, la nuova commedia del duo riesce a trasmettere una sorprendente e contagiosa voglia di fare cinema.

Eppure la sceneggiatura del film, nonostante un finale particolarmente efficace, che riprende l’idea già alla base de L’Ora Legale di Ficarra e Picone ma non la porta avanti con lo stesso cinismo, è poco incisiva e rischia spesso di essere fin troppo semplicistica. Appiattita sulla contingenza dell’attualità politica, calca la mano sui nuovi stereotipi con i quali oggi viene definita la classe dirigente (il ragazzino inesperto che non ha fatto il liceo, il finto “guerriero” che grida sempre lo stesso slogan). Non ha l’audacia di costruire davvero dei personaggi cinematografici inediti, ma si limita a rendere caricaturali quelli reali.

Quello di Stasi e Fontana è un cinema popolare e impopolare (l’idea di Garibaldi, a differenza dell’hula hoop coeniano, non susciterà il plauso del pubblico). Il leader dell’opposizione arriva al Colle a bordo di una DeLorean e i corazzieri giocano a pallavolo come i cardinali in Habemus Papam di Nanni Moretti. È un cinema che non si fa problemi a negare il primo piano del comico che pronuncia la battuta ad effetto. Quello di Stasi e Fontana è il “cinema del cambiamento”. Il cui motto araldico può essere solo uno: “Maledetti!”.