The Guilty - Il Colpevole, thriller telefonico dell’esordiente Gustav Möller, è un film che procede inesorabile nella sua narrativa binaria di azione e reazione. Una chiamata notturna al centralino del pronto intervento di Copenhagen, proveniente da una donna in difficoltà, forse sequestrata dal suo ex marito, fa scattare qualcosa nella testa dell’agente Asger, che decide di intervenire andando oltre quelli che sarebbero i suoi compiti. Lo spettatore si trova doppiamente in difetto: non può conoscere ciò che sta avvenendo “sul campo”, perché, come il protagonista, può basarsi solo sulle conversazioni telefoniche che ascolta, ma non può neanche conoscere le reali intenzioni dell’agente prima che questo le sveli attraverso le sue decisioni. Chi guarda vive con Asger la sua stessa claustrofobia, percependo il senso di frustrazione di un uomo momentaneamente “costretto” a svolgere un lavoro che detesta. Quell’anonimo grido di aiuto non solo servirà al protagonista per fare i conti con le sue responsabilità personali, ma susciterà nello scontroso danese un genuino senso di eccitazione (non dissimile da quello che proverà lo spettatore man mano che la vicenda si farà sempre più complessa) che lo spingerà ad agire e ad interessarsi alla vicenda. Per Asger non si tratta solo di rimediare a qualcosa di cui non va fiero, ma anche di dimostrare molto virilmente di essere ancora un uomo d’azione e non da scrivania.
Il riferimento a cui subito si pensa guardando The Guilty è quello di Locke di Steven Knight, in cui Tom Hardy affrontava un viaggio in macchina e nel frattempo un continuo dialogo telefonico con sua moglie, la sua amante, i due figli a casa e il suo datore di lavoro furioso. Quel personaggio, con una buona dose d’ironia, era il dipendente di un’industria edile, ma ciò a cui assisteva lo spettatore era di fatto la “demolizione” della sua vita e dei suoi affetti. Knight decostruiva la struttura classica del thriller e sfruttava l’anti-climax per far corrispondere il culmine del film al momento in cui il protagonista perdeva il lavoro, la famiglia e la casa (che aveva quando invece era partito). The Guilty è invece un film che, come i noir classici, “costruisce” qualcosa (l’intreccio e la tensione) e procede per accumulazione (di indizi e colpi di scena). È quindi un film che si sarebbe potuto svolgere senza problemi in una maniera molto più canonica, mostrando allo spettatore tutte le fasi dell’indagine sul campo. Rinunciando al narratore onnisciente e mettendo lo spettatore nelle medesime condizioni del protagonista, invece, Möller chiede a chi guarda uno sforzo di immaginazione. Sforzo che però è agevolato da una sceneggiatura che fin dall’inizio, prima ancora che l’intreccio vero e proprio cominci a delinearsi, riesce a catturare l’attenzione del pubblico.
Adesso è chiaro che il “thriller telefonico” non è solo un espediente tecnico per mettere in scena una sceneggiatura complessa abbattendo i costi, ma il genere migliore per rendere su schermo cosa vuol dire dover dare conto ad altre persone delle proprie azioni. Asger in The Guilty non solo si sente obbligato ad agire per “redimersi” da colpe personali, ma anche da un senso di “dovere” nei confronti degli altri (di chi non ha aiutato in passato e di chi adesso chiede aiuto). Così il centralinista, anche quando sceglie di oltrepassare il suo ruolo per gestire autonomamente la situazione, non è mai nelle condizioni di agire veramente da solo, svincolato da tutte le altre persone coinvolte nello stesso caso a vari livelli, a cui deve dare spiegazioni o da cui deve ricevere informazioni.
Il viso di Jakob Cedergren diviene il paesaggio sul quale si accumulano le sofferenze, le paure e le speranze sue e di quelli che dialogano con lui. Asger si fa carico del dramma delle “vittime”, ma in qualche modo è capace (per via del suo passato) di comprendere anche il carnefice, senza per questo giustificarlo. Come sempre avviene in questo genere di film, nulla è davvero come sembra e tutto ciò che lo spettatore proietta nella sua mente è destinato a mutare man mano che si aggiungono dettagli che prima non si conoscevano. Alla fine non ci sarà un solo “Colpevole” e la colpa sarà equamente suddivisa tra il reale carnefice, il protagonista e lo spettatore, che avrà giudicato senza aver visto nulla.
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