Sean Penn indossa nuovamente l’elmetto militare e stavolta, senza nessun contesto “fiction” attorno, attraversa l’Ucraina martoriata dalle bombe e dalla guerra nel documentario Superpower. Il film prende il via nel novembre 2021, quando il divo firma ufficialmente come attore e regista in un progetto dedicato alla figura dell’attuale presidente Volodymyr Zelensky. Le circostanze, però, hanno voluto che Penn e il suo co-autore Aaron Kaufman si recassero nella capitale Kiev per l’inizio delle riprese proprio nei giorni in cui la Russia ha dato il via alla sua “operazione militare speciale”. È questa la cosa più interessante di Superpower: la sua strana e surreale genesi, che occupa la prima mezz’ora del film. La velocissima reazione a catena di eventi che ha trasformato un progetto originariamente dedicato al percorso di Zelensky da attore comico e finto presidente dell’Ucraina a vero leader del Paese, in tutt’altro: in un doc di guerra che segue la star di Hollywood prima, durante e dopo l’invasione russa.

Già precedentemente allo scoppio delle ostilità, quindi, la produzione del film aveva capito che l’Ucraina sarebbe stata una nazione cruciale per decidere il futuro non solo dell’Europa, ma anche e specialmente degli Stati Uniti d’America (è infatti al pubblico americano che il documentario, in alcuni casi espressamente “pedagogico”, si rivolge esplicitamente). In una involontaria citazione del Nanni Moretti di Santiago, Italia, è lo stesso Sean Penn a rivendicare che il suo non può essere “un film imparziale” e che non gli dispiace, in questo caso, essere “considerato un propagandista”. La decisione di cominciare a girare il film proprio in quei mesi nasce però - e qui c’è uno snodo cruciale - dall’iniziale convinzione di Penn (e della produzione del film, che aveva comunque il compito di salvaguardare l’incolumità del suo protagonista) che un’invasione russa non fosse effettivamente all’orizzonte e che Putin non si sarebbe mai spinto così lontano. Quell’errore di calcolo lo ha invece portato ad essere la persona più famosa del mondo sul campo di battaglia quando sono scoppiate le ostilità, cambiando completamente il destino del documentario, che a quel punto ha cominciato ad assumere i toni del reportage e dell’inchiesta.

Superpower, però, non riesce a mostrare nulla di più di quanto non vediamo già da due anni quotidianamente sugli schermi televisivi di tutto il mondo. Non ha un punto di vista particolarmente interessante sugli eventi e la presenza di Sean Penn non aggiunge granché al racconto giornalistico che centinaia di reporter stanno portando avanti senza sosta dall’inizio del conflitto. Il mondo intero guarda all’Ucraina con compassione e apprensione, condannando giustamente le azioni disumane dell’esercito russo nel Paese. Tuttavia Penn fa poco o nulla per chiarire le complesse questioni geopolitiche che coinvolgono le due popolazioni belligeranti da decenni - anche solo per dare un contesto reale a ciò che mostra - e non cerca nemmeno di esplorare le innumerevoli conseguenze del conflitto sul resto del mondo e sugli equilibri internazionali. Penn e Kaufman riducono l’intero documentario ad un unico “grido di battaglia”, sperando di convincere l’opinione pubblica e gli spettatori a fare pressione sui propri governi affinché inviino sempre più armi in Ucraina. Quella di presentare il film in anteprima mondiale a Berlino lo scorso febbraio, dopo le polemiche sulla “reticenza” di Scholz ad avvallare aiuti militari ancora più pesanti, non è stata sicuramente una scelta casuale.