Se si dovesse giudicare Sono Tornato (remake italiano di Luca Miniero del successo cinematografico di Lui è tornato) solo dalla sua ultima scena, il giudizio sarebbe senza dubbio positivo. Il regista napoletano prende quella che era una delle idee migliori del film tedesco del 2015, ovvero il momento in cui viene diffuso in televisione il video dell’uccisione di un cane da parte del Führer, che suscita lo sdegno di quelle stesse persone che avevano ricominciato ad acclamare senza troppe remore uno dei più spietati criminali della storia, e ne fa il fulcro della sua narrazione, dandole una centralità nel finale che non aveva nella pellicola originale.
Quella scena, che è la sola davvero diversa rispetto alla trasposizione teutonica, sintetizza bene le potenzialità inespresse di questa commedia, che decide di limitarsi a “rifare” le stesse cose solo cambiando il contesto in cui queste accadono, senza però fare in modo che la diversa ambientazione cambi la percezione ed il senso degli avvenimenti. Miniero ci riesce solo nella conclusione, che qui si svolge nello studio televisivo di un pacchianissimo e credibilissimo programma italiano dal nome “I Forgive You”, dove si cerca di risolvere controversie di ogni genere facendo in modo che la “vittima” perdoni chi le ha procurato del dolore.
Miniero non sposa lo stile mockumentary di Lui è tornato, che faceva il verso a quello del Borat di Sacha Baron Cohen (pur spogliato della sua carica dissacrante e ferocemente irriverente), se non in brevi occasioni, ma invece mette in scena la sceneggiatura con una regia più ferma e consapevole di quanto non lo fosse quella di Wnendt. Frank Matano, che interpreta un giovane video-maker che spera finalmente di sfondare sfruttando la curiosità che suscita il personaggio da lui “scoperto” (che, come nell’originale, viene scambiato inizialmente per un imitatore), è forse il miglior interprete possibile per la sua capacità di improvvisazione e di contrapporsi all’approccio teatrale di Popolizio nei panni del Duce.
In Sono Tornato ci sono però degli scivoloni difficili da perdonare, come il “tenero” ricordo di Claretta Petacci (la prima ricerca su Google di Mussolini) o i diversi tentativi di auto-assoluzione del Duce per “essersi fatto fregare da Hitler”, che non sono né storicamente giustificabili né tantomeno vengono mai smontati durante il corso della storia. Così come lascia un po’ di amaro in bocca lo spazio limitatissimo che viene dedicato ai movimenti “neo-fascisti”, che invece nel film originale erano al centro di un dibattito con lo stesso Hitler, che li accusava di aver tradito la sua eredità e di fare un uso non veritiero della propria immagine. Anche la relazione tra Mussolini e Canaletti (Frank Matano), che grazie a lui scoprirà cosa vuol dire “comportarsi da uomo” nelle relazioni sentimentali e sul lavoro, sembra dare al Duce una patina di bonaria umanità equivoca e non necessaria.
La grande intuizione di Sono Tornato è quella di mostrare un popolo che non desidera tanto il ritorno di Mussolini come tale, ma quello di un “uomo forte” che possa “prendere in mano le redini del Paese” (come suggerisce un signore durante una delle tante interviste candid-camera) per riportarlo allo splendore di un tempo, che se per molti coincide con il Ventennio è solo per ignoranza o memoria corta. Sembra però che Miniero e Guaglianone non abbiano saputo cogliere le contraddizioni della nostra società e gli spunti che solo il nostro Paese è in grado di fornire per costruire qualcosa che andasse al di là del semplice “remake”, in grado di reggersi autonomamente sulle proprie gambe. Se Lui è tornato non aveva la complessità necessaria per poter rendere onore alla propria idea geniale (che a quanto pare è comunque bastata a conferirgli lo stato di cult), così Sono Tornato poteva essere una satira efficace ed invece si limita ad essere una banale analisi di una Italia allo stremo che crede ancora nella possibilità di una “dittatura soft” che mai è esistita e mai esisterà.
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