Citando le parole che Olivier Assayas pronunciò per un discorso in onore di Wong Kar-wai al Lumière Film Festival di Lione: “I personaggi di Wong sono esseri ossessionati dalla nostalgia di ciò che non hanno mai conosciuto”. Non è forse un caso, quindi, che i suoi film più amati, a distanza di anni, vivano nella memoria di milioni di spettatori devoti che ne hanno conservato un ricordo idealizzato e che si oppongono a qualsiasi forma di rimaneggiamento. La risposta decisamente deludente ricevuta in patria al suo Ashes of Time Redux del 2008 non ha però scosso la convinzione di Wong Kar-wai che rimaneggiare quei film fosse necessario. Redux non era il film che molti spettatori ricordavano, ma cosa ricordavano davvero quegli spettatori di Hong Kong? Il film così come effettivamente era arrivato in sala o le versioni clandestine, scadenti e sgranate, “sbirciate” nelle fumose videoteche della loro città natale?
Adesso che i titoli più celebri del regista cinese stanno per essere riproposti in versione “restaurata”, molti spettatori rimarranno sorpresi nello scoprire che quei film non corrispondono più ai loro ricordi. Alcune persone, dopo aver adorato Chungking Express e In the Mood for Love su DVD che ne deformavano le proporzioni a 1,85:1, considereranno un tradimento la nuova versione “boxier” a 1,66:1 (fedele alle intenzioni originali dell’autore). Già così radicale nella sua visione notturna di Kowloon in “fish-eye”, il crepuscolare Fallen Angels sarà adesso proposto in CinemaScope e ricolorato in maniera tale che in tanti si chiederanno se per venticinque anni lo hanno sempre ricordato per ciò che non era mai stato.
La maggioranza degli studiosi del cinema di Wong Kar-wai ha analizzato per decenni i suoi film riferendosi alle edizioni in DVD, essenziali per la visione ripetuta. Come scrive Tom Gunning, però, il digitale “non solo offre nuovi strumenti per il controllo del colore, ma presenta anche nuovi problemi nel riprodurlo, rendendo vera la vecchia barzelletta sul significato delle iniziali NTSC: never the same color”. Il colore dei film di Wong Kar-wai, anche per cause e condizioni esterne, subisce proprio quella transitorietà che è uno degli elementi fondamentali del suo cinema (e prima ancora di quello di Ozu), fatto di nuvole di fumo di sigaretta che vanno via e di vapore che fuoriesce dai bollitori, di sostanze destinate a non esistere nella stessa forma per un tempo troppo prolungato. Anche in questo caso, la differenza più evidente tra la versione Criterion 1080p del 2012 di In the Mood for Love e la versione 4K del 2021 è proprio la nuova tonalità cromatica, che lo rende esteticamente più vicino alle sequenze tropicali di Days of Being Wild (primo film della trilogia “anni ’60”) e al loro verde “letargico”.
Le immagini nella foresta di Days of Being Wild erano ipnotizzanti ed enigmatiche, producevano un “effetto onirico” e disarcionavano gli avvenimenti da uno spazio-tempo specifico o narrativo. Riprendendo la palette cromatica di quelle scene, quindi attenuando i colori più sgargianti e rendendo meno marcati i chiaroscuri caravaggeschi di Christopher Doyle, la versione “restaurata” di In the Mood for Love esaspera la finzione cinematografica e amplia la dimensione sognante del film. La nostalgia non è più solo il filtro attraverso il quale guardare il passato - che non è mai ricostruito fedelmente, ma evocato in base al suo ricordo - ma lo strumento attraverso cui approcciare nuovamente l’opera filmica (e che ha guidato le decisioni dello stesso Wong Kar-wai nel processo di rifacimento). Il cambiamento nei sentimenti dei protagonisti, che veniva accompagnato nella versione precedente da una progressiva transizione dal verde al rosso, adesso è cromaticamente più sfumato, così come meno evidenti sono i cambiamenti nel cheongsam di Mrs Chan che avvisavano di un avvenuto spostamento temporale o spaziale.
In the Mood for Love non mette in scena una relazione affettiva in quanto tale, ma il tentativo di immedesimarsi in essa e di riconoscersi nel proprio desiderio di viverne una. La situazione in cui si tenta di immedesimarsi in una relazione e di riconoscersi in un ruolo è, ovviamente, la situazione di un attore o attrice in un film, ma anche allegoria della condizione dello spettatore rispetto all’opera filmica che osserva. La relazione fondamentale, nel film di Wong Kar-wai, non è quella che si ha con un’altra persona, ma con un’immagine (e con l’insieme di convenzioni generiche attraverso le quali quell’immagine produce significato). I raddoppi e le simmetrie del suo film sottolineano quanto siano assolutamente generiche queste convenzioni: la reiterazione degli stessi eventi obbliga lo spettatore a confrontarsi con la finzione del cinema (“Il reale è ciò che non permette il doppio”, scriveva il filosofo francese Clément Rosset nel 1972) e rende impossibile la sospensione dell’incredulità.
La reiterazione del gesto atletico di Jackie Chan e il monologo pronunciato due volte dall’infermiera Alma in Persona di Bergman svolgono la stessa identica funzione: rendere evidente il cinema. La coppia di In the Mood for Love si reca sempre negli stessi posti, ripetendo le stesse azioni e persino le stesse conversazioni. L’abito di Maggie Cheung è l’unico elemento che può indurre lo spettatore a capire che ciò che sta osservando è l’ennesima ripetizione di una situazione che già conosce, ma che si svolge in uno spazio-tempo nuovo. La ripetizione non può esistere senza differenza: lo spettatore può percepire i giorni come identici tra loro solo grazie al dettaglio del vestito ogni volta diverso.
In una celebre conversazione per i Cahiers du Cinéma del 1999, Wong Kar-wai ricordava lo shock prodotto in lui dalla prima visione dei film di Bresson, il regista francese che inquadrava gli attori come fossero oggetti di scena, pietre o alberi. Quando i due protagonisti di In the Mood for Love scoprono di essere stati traditi, riconoscono i simboli di questo tradimento in una borsetta e in una cravatta che i loro coniugi avevano donato loro. I protagonisti si chiedono se loro stessi non siano altrettanto intercambiabili e indistinguibili nelle rispettive relazioni sentimentali. Gli oggetti funzionano come sostituti feticistici delle persone e dei legami personali: in My Blueberry Nights il personaggio di Norah Jones viene identificato con la crostata servita da Jude Law nel suo New York Café e in Chungking Express le persone finiscono per essere equiparate a lattine di ananas, insalate e animali impagliati.
La feticizzazione del cinema di Wong Kar-wai è la conseguenza estrema del processo bressoninano che pone sullo stesso piano ontologico le persone e gli oggetti che le circondano. La scena del taxi da In the Mood for Love - in cui le mani di Su e Chow si sfiorano e si allontanano, rivelando la qualità effimera della loro relazione - viene riproposta per ben due volte nel successivo 2046. Le due scene sono visivamente separate dal resto del film: il regista le riprende in bianco e nero come a suggerire che ci sia qualcosa di intoccabile ed eterno in quei momenti, che esiste al di là del contesto in cui quelle immagini vengono collocate. Ma la stessa scena, situabile in egual modo in In the Mood for Love e in 2046, è autonoma e non risente del contesto cinematografico in cui si inserisce: ha le stesse caratteristiche della lampada che la coppia di Happy Together acquista prima di mettersi in viaggio per le cascate di Iguazu, che rimane nella casa di Ho Po-wing anche dopo la rottura della coppia, conservando il suo significato sentimentale anche dopo la scomparsa del sentimento.
Seguendo la lezione di Deleuze, qualsiasi oggetto può essere inquadrato come un volto: seenagée o visageifiée, purché sia astratto dal suo “spazio contestualizzante”. Le saponette, le lattine di ananas, gli animali di peluche, le fette di crostata e le lampade souvenir, assumono funzioni reali e connessioni ordinarie con gli esseri umani, ma sono anche rappresentazioni autonome di emozioni, affetti e relazioni, rimanendo tali anche quando le loro connessioni ordinarie con i protagonisti vengono meno. Così la scena del taxi è in relazione con le altre sequenze dei film in cui compare, ma è anche rappresentazione autosufficiente (qualité-puissance pure) di una corrispondenza sentimentale superficiale e labile.
Estendendo questo concetto all’oggetto filmico in sé, gli spettatori che hanno già amato In the Mood for Love continueranno a proiettare su di esso gli stessi sentimenti che hanno definito la loro prima visione. Wong Kar-wai cita Eraclito nelle note alla nuova versione: “Nessun uomo cammina mai due volte nello stesso fiume”. Perché non può esistere lo stesso fiume e un uomo non è mai lo stesso in due momenti differenti della sua esistenza. Vale lo stesso per i film e per il loro pubblico.
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