Kogonada è diventato famoso con una serie di brevi video su YouTube: saggi sul cinema dedicati ai registi da lui più amati. Nei suoi “video-essay” ha analizzato i volti che compaiono nei thriller di Hitchcock, gli specchi presenti nelle scenografie di Ingmar Bergman e la ripetitiva dolcezza della quotidianità nelle saghe famigliari di Yasujirō Ozu. Proprio Ozu ha avuto una grande influenza su Kogonada, che ha adottato il nome del suo storico sceneggiatore, Kôgo Noda, come alias.
Non a caso, quindi, la famiglia ha subito avuto un ruolo fondamentale nel suo cinema. Nel primo lungometraggio del 2017, Columbus, John Cho arrivava in una città del Midwest degli Stati Uniti per far visita al suo genitore malato. Per il suo film successivo, After Yang, presentato al 74esimo Festival di Cannes, Kogonada trasla l’azione in una città non meglio identificata nel prossimo futuro, ma ad interessare il regista sono ancora una volta le dinamiche famigliari.
Più rarefatto e speculativo di Columbus, il nuovo lungometraggio di Kogonada mette in scena una fantascienza “accogliente” e “ospitale”, basata sull’idea (prettamente asiatica) che ogni oggetto sia dotato di una propria anima e quindi in grado, potenzialmente, di relazionarsi con le persone che lo utilizzano anche a livello emotivo o spirituale (come avveniva in Silence di Scorsese). Lo spunto che dà il via alla sceneggiatura, adattata da un racconto breve di Alexander Weinstein, è quindi un pretesto per approfondire la propria idea di animismo ed esplicitare la propria fede incrollabile nei sentimenti (che, nel cinema di Kogonada, non sono prerogativa esclusiva degli umani).
Quando un “technosapien” di nome Yang (Justin H. Min) smette di funzionare, Jake (Colin Farrell), il venditore di tè che lo ha acquistato di seconda mano per dare un fratello maggiore alla sua giovane figlia adottiva, trascina l’androide fino al centro di assistenza più vicino, più o meno come si farebbe con un iPhone rotto al Genius Bar. Cerca di capire quale sia il problema e se sia possibile riparare la macchina in tempi brevi e con costi contenuti. esattamente ciò che si fa quando uno strumento tecnologico smette di funzionare, senza grande struggimento interiore e con l’aria scocciata di chi vorrebbe risolvere subito la questione. Ma sostituire Yang nella casa di Jake non sarà semplice come acquistare un nuovo elettrodomestico per rimpiazzarne uno vecchio.
Quando sembra chiaro che Yang potrebbe non tornare mai più online, Jake inizia inaspettatamente a soffrire la prospettiva di separarsi definitivamente dall’androide e a preoccuparsi delle conseguenze che questa improvvisa perdita potrebbe avere su sua figlia Mika, profondamente legata al suo “fratello maggiore”. La malinconica bellezza di After Yang è radicata nella sua dimensione domestica, come l’albero che cresce nella casa di Jake è radicato nel terreno sottostante. Attraverso la sua narrazione sommessa e sonnecchiante, il film di Kogonada racconta un futuro in cui le persone possono sentirsi a loro agio con i surrogati tecnologici quanto con i propri famigliari umani.
Pochi film hanno guardato in maniera così consapevole e mai giudicante la possibilità di deviare il proprio amore su cose meccaniche, e ancora meno hanno ipotizzato così seriamente che quelle macchine potessero essere in grado di restituire lo stesso tipo di affetto riservato loro. Perfetto complemento al nuovo romanzo di Kazuo Ishiguro, Klara and the Sun, e rassicurante alternativa alla brutalità di A.I. di Steven Spielberg, After Yang crede nella possibilità di mettere a fuoco i propri sentimenti attraverso la tecnologia. La forza del film di Kogonada emerge nell’esplicito rifiuto di minimizzare il ruolo positivo che la tecnologia digitale può avere quando si tratta di favorire le relazioni umane e consolidare i legami tra le persone (reali).
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