Orion e il buio è davvero la summa di trent’anni di cinema DreamWorks, molto più di quanto non sia finito per esserlo Wish per i cento anni della Disney. Come per l’audace esordio di Z la formica (con Woody Allen al doppiaggio e con il protagonista modellato sulle sue idiosincrasie), lo studio americano ha scelto uno dei maggiori geni del cinema d’autore statunitense - Charlie Kaufman, mente di sceneggiature complicatissime e raffinate destinate ad un pubblico adulto - e gli ha affidato il compito di tratteggiare una versione giovanile di quel Grande Nevrotico Kaufmaniano che ha sempre proposto con successo in questi anni. Il ragazzino che dà il nome al film ha infatti paura di tutto: della società, dell’amore, dei fuochi pirotecnici, dei clown assassini, delle onde telefoniche, dei bulli a scuola tanto quanto della ragazza di cui è innamorato. Il suo viaggio comicamente esistenzialista nella notte, volto a sconfiggere le proprie paure al fianco di una variegata compagnia di esseri fantastici modellati come le emozioni antropomorfe di Inside Out, attraversa, come il cinema d’animazione contemporaneo impone, moltissimi stili di disegno: principalmente la cgi, ma anche la bidimensionalità declinata nelle sue varie applicazioni, dal 2D vintage di Brave Little Toaster ai doodle animati che fuoriescono dal taccuino del protagonista come le “boiling lines” di Bill Plympton.

Allo stesso tempo, Orion e il buio riesce ad essere una rigorosa lezione sulla narrativa per l’infanzia e sulla sua evoluzione nel corso del tempo e con il passare delle generazioni (di autori e lettori). Il modo in cui la storia viene presentata, aggiustata e modificata da narratori differenti per età, ci restituisce un entusiasmante campionario di stratagemmi creativi e un ampio spettro di sensibilità rispetto al racconto che si propone allo spettatore: quella fatalista di una generazione più anziana, magari legata alle storie di Roald Dahl, spesso prive del classico e conciliante “lieto fine” riparativo, in cui i protagonisti venivano messi davanti alle conseguenze irreversibili delle loro azioni, a quella più abituata a giocare con la metatestualità e con il sovrapporsi dei piani narrativi, che è quella cresciuta con i film Pixar (di cui si cita, oltre che il sopracitato Inside Out, anche Monsters & Co.). Gioco di scatole cinesi che Kaufman esaspera, sfidando le pur esili leggi di verosimiglianza e coerenza narrativa che regolano il cinema d’animazione popolare, finendo per annullare la distanza tra l’autore e le proprie creazioni, come d’altronde sempre è avvenuto nelle sue opere (da regista o da sceneggiatore). Orion e il buio finisce per apparire assolutamente classico - non necessariamente in un senso negativo - pur percorrendo una strada propria e sabotando molte delle convenzioni tipiche del genere, in primis la necessità di avere sempre un antagonista da sconfiggere.