La «tremante fonte Omerica» da cui Robert Guédiguian aveva attinto per il precedente E la festa continua non si è evidentemente ancora esaurita e così anche in questo nuovo La Gazza Ladra il contesto sociale - che è sempre stato predominante nei suoi film - si fa sfondo, lasciando invece maggiore spazio ai sentimenti, ai sussulti emotivi, come l’insegnamento omerico consiglierebbe (proprio l’Iliade e l’Odissea sono poemi definite fin dal loro proemio da due emozioni totalizzanti: rispettivamente l’ira e il dolore). Questa differenza è ancora più evidente se si confronta La Gazza Ladra con il precedente film di Guédiguian ambientato a L’Estaque, ovvero Le nevi del Kilimangiaro (2011), in cui Marsiglia veniva raccontata con una palette di colori cinerea, meno pittorica, e in cui l’attualità socio-politica era molto più presente nel determinare il destino dei personaggi. Ma c’è un ulteriore collegamento diretto tra questi due film, oltre all’ambientazione e al tema del furto (in un caso subito, nell’altro commesso): il componimento “Les pauvres gens” di Victor Hugo, a cui entrambe le opere si ispirano e fanno esplicito riferimento. Se però Le nevi del Kilimangiaro era un film più dialogico, che non nascondeva l’influenza di Marcel Pagnol, uno degli inventori del “cinema di parola”, anche lui di Marsiglia come Guédiguian, La Gazza Ladra va ancora più a ritroso nella storia del cinema francese, tornando allo slapstick, agli albori del mezzo, in cui era il movimento a guidare la narrazione e in qualche modo a imporre le scelte ai suoi protagonisti, mettendo lo spettatore davanti a quella continua «incognita che è il cinematografo», come diceva René Clair.

Lo spettatore si trova davanti ad avvenimenti assolutamente illogici, a slanci amorosi che fino a un minuto prima avrebbe considerato impossibili e persino grotteschi, senza che gli venga mai fornita alcuna giustificazione psicologica, alcuna traccia da seguire per giungere a una motivazione plausibile. È infatti la cinetica stessa del film a fare in modo che un personaggio cada improvvisamente tra le braccia dell’altro, a comandare la direzione del racconto di fatto eclissando la sceneggiatura. Come nel cinema muto, tutto è affidato ai gesti, al moto perpetuo dei personaggi, che sembrano “spinti” da forze invisibili alle quali non ci si può opporre. Eppure questa “facilità d’azione” non ci appare sempre benevola, ingenua e ancestrale, ma in alcuni momenti costringe anche ad accettare soluzioni narrative controverse e ambigue. Il linguaggio cinematografico che si utilizza non è mai neutro e persino la grammatica interna di un film può sollevare quesiti etici e morali, come nel momento in cui un’iniziale aggressione si trasforma in un bacio appassionato. C’è infatti un retaggio maschile che il film trascina con sé - ed è difficile stabilire quanta consapevolezza ci sia in questa scelta - che è tutto novecentesco, come i modelli cinematografici a cui si rifà.

Se è vero che uno dei temi fondamentali de La Gazza Ladra è il perdono, la bontà d’animo di chi decide di lasciar correre nonostante un torto subito, è anche vero che gli unici personaggi a possedere questa qualità misericordiosa sono quelli maschili. Sono loro che perdonano le truffe e i tradimenti che subiscono, commessi da donne che - se pur mai connotate con disprezzo o in maniera negativa, anzi - sono, a conti fatti, nell’economia del racconto, delinquenti, infedeli e delatrici. La nostalgia verso un cinema del passato assume quindi dei connotati quasi reazionari, specialmente nel confronto impietoso tra i protagonisti più anziani, sempre ben disposti e generosi, e i loro figli trentenni, volubili e in alcuni casi cattivi ed egoisti. Una tendenza che già emergeva in Gloria Mundi, che travolgeva la gioventù con tutti i mali della contemporaneità, dalla dissolutezza all’avidità, filmando il divario generazionale con ancora meno sfumature. Rigidità successivamente contraddetta e annullata con E la festa continua, rafforzando l’idea che non è tanto una questione ideologica, quanto cinematografica. Che anche in questo caso è lo stile del film, il suo linguaggio, a determinare l’approccio a determinati temi e il grado di benevolenza rispetto ai personaggi che si mettono in scena. Questa tensione tra forma e contenuto è forse oggi l’aspetto più affascinante del cinema di Guédiguian, che rimane sempre uguale a se stesso, con gli stessi attori, gli stessi intrecci e gli stessi luoghi di vent’anni fa, eppure ogni volta cambia la sensibilità del regista rispetto ad essi.
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