La 37esima edizione degli European Film Awards è appena giunta alla sua conclusione. E, al di là del giudizio sui premi assegnati (ovviamente troneggia Emilia Pérez di Jacques Audiard), ci consegna un’Europa culturalmente più avanti rispetto alla propria classe dirigente, che immagina la pace, fa della diversità (linguistica, di genere) una ricchezza, che guarda al Medio Oriente, che premia film che superano i confini. Lo dimostra la vittoria del documentario No Other Land, che racconta le violenze degli israeliani ai danni dei palestinesi in Cisgiordania, così come la storia emblematica di Mohammad Rasoulof, regista iraniano che dall’Iran se n’è dovuto andare, clandestinamente, attraversando il confine a piedi, dopo essere stato condannato a cinque anni di carcere per crimini “contro la sicurezza nazionale”, e che oggi può sognare gli Oscar grazie alla decisione della Germania di scegliere il suo Il seme del fico sacro come propria candidatura nazionale. Quello di Rasoulof, inoltre, è solo uno dei tanti titoli “europei” (in un senso evidentemente più ampio) di quest’anno che ritroveremo con ogni probabilità in corsa per gli Academy Awards, insieme al musical di Audiard, al thriller vaticano Conclave di Edward Berger, alla commedia body-horror The Substance di Coralie Fargeat, all’adattamento di Luca Guadagnino di Queer di William S. Burroughs, fino all’animazione con il lettone Flow.

Nonostante tutto questo, nelle sale europee si continua a preferire in massa il cinema proveniente da oltreoceano. Il pubblico torna al cinema dopo la pandemia - il botteghino europeo nel 2023 ha fatto segnare un aumento del 22%, anche se ancora al di sotto delle cifre pre-pandemia - ma sceglie quasi sempre i film americani, che lo scorso anno sono arrivati a rappresentare il 70,1% dei biglietti staccati in Europa: un nuovo record. Stando ai dati del documento “Made in Europe - Theatrical distribution of European films across the globe 2014-2023”, redatto dall’European Audiovisual Observatory, nel 2023 sono stati distribuiti 3.349 titoli europei, raccogliendo un modestissimo totale di 239 milioni di presenze. Per dirla più chiaramente: l’Europa produce il 52% dei film in circolazione nel mondo intero, che però richiamano spettatori per un misero 6% su scala globale. Di questi 3.349 titoli, solo 1.630 hanno avuto una vita al di fuori del proprio Paese di origine. L’export, quindi, soffre parecchio, ma anche il pubblico sembra propendere per l’autarchia. La quota nazionale sul totale di ingressi per i film europei è salita al 68%. Quindi gli italiani vedono i film italiani, i francesi vedono quelli francesi e così via.

Per invertire questa tendenza, Matthijs Wouter Knol, CEO della European Film Academy, ritiene che l’industria europea debba cambiare innanzitutto il modo in cui i film europei vengono promossi e distribuiti. È ancora oggi normale per un film europeo uscire a distanza di tre o quattro mesi tra un Paese e l’altro – il film di Rasoulof, ad esempio, è arrivato a settembre nelle sale francesi, ma in Italia lo potremo vedere solo a febbraio 2025 - con i distributori in ogni Paese che progettano le proprie campagne di marketing in maniera autonoma. Il messaggio è chiaro: non possiamo più permetterci di promuovere i film europei in momenti diversi, in modi diversi, in territori e lingue diverse. Una riflessione che vale per la sala così come per lo streaming. «La realtà è che i detentori dei diritti e i distributori preferiscono vendere a più piattaforme di streaming in territori diversi», spiega lo stesso Wouter Knol all’Hollywood Reporter. «Se riesci a vendere un film a 30 diverse piattaforme di streaming, questo porta più soldi che venderlo a una singola piattaforma pan-europea. Si tratta di una situazione da comma 22 in cui le entrate beneficiano della frammentazione del mercato». I distributori europei, non è difficile crederlo, non sono molto d’accordo con l’approccio pan-europeo di cui parla Wouter Knol.

Ma sarebbe stupido non vedere che il mondo attorno a noi sta cambiando, che i media e gli strumenti di promozione, le aspettative e le abitudini del pubblico stanno evolvendo molto velocemente. Il cinema europeo, a livello di qualità, varietà e attrattività della proposta, gode di ottima salute, come questa 37esima edizione degli European Film Awards ci ha dimostrato, ma non viene percepito (anche dal pubblico) in maniera unitaria, comunitaria appunto. L’EFA, nei limiti di ciò che può fare, sta cercando di spingere per un numero sempre maggiore di uscite paneuropee, con il Mese del cinema europeo che precede la cerimonia dei premi, durante il quale si proiettano i film candidati nelle sale di tutto il continente (spesso gratuitamente). Un progetto iniziato nel 2021 con solo 14 cinema in Germania e che oggi coinvolge oltre 100 città in tutta Europa, per un totale di circa 70.000 spettatori. Nel frattempo, si lavora anche per rendere gli European Film Awards dei riconoscimenti sempre più capaci di suscitare attenzione mediatica. Per l’ultima volta quest’anno la cerimonia di premiazione si è svolta a dicembre. Dal 2026, l’evento si sposterà a gennaio. L’obiettivo è quello di collegare il Mese del cinema europeo a una stagione più ampia, che culmini con i premi. Questo allungamento dei tempi consentirebbe al pubblico di conoscere meglio i film in lizza per le nomination e di allineare l’evento con la award season americana, collocando gli European Film Awards strategicamente nel corridoio tra i Golden Globe e gli Oscar. Un posizionamento che, si spera, potrà aumenta la visibilità e il prestigio degli EFA.