“Io non so mai che film ho fatto fino a quando non lo vedo in sala con il pubblico. Solo allora, ascoltando le reazioni degli spettatori in sala, capisco ciò che ho girato e che tipo di film ho realizzato”. Così Hong Sang-soo, maestro del minimalismo coreano, autore capace di realizzare da decenni lo stesso identico film lavorando su minuscole variazioni sul tema, ha presentato il suo ultimo lavoro, A Traveler’s Needs, dopo una proiezione, quella alla 74esima edizione della Berlinale, in cui gli spettatori hanno riso di gusto in più momenti, rivelando così anche allo stesso regista il genere in cui stavolta ha deciso di muoversi: quello della commedia surreale, con protagonista una leggerissima e svampita Isabelle Huppert. Una donna misteriosa di cui non sappiamo nulla: lei dice di essere francese, ma cosa fa in Corea non è chiaro. Non ha soldi, non sa dove stare, non comprende una sola parola della lingua locale, ama camminare scalza e sdraiarsi sulle rocce, ma soprattutto bere molto makgeoll, il vino di riso coreano. Huppert, splendidamente maliziosa e ingenua allo stesso tempo, racimola qualche soldo come insegnante di francese, sperimentando un metodo “didattico” (ma anche psicanalitico, volendo) di sua invenzione, che non prevede lezioni frontali o testi di grammatica, bensì la ripetizione ossessiva dei propri pensieri in una lingua straniera, con delle frasi appuntate su foglietti volanti da pronunciare più volte con il registratore acceso. È in questo meccanismo che si inserisce il gioco classico di ripetizioni e rimandi che da sempre anima il cinema di Hong Sang-soo, in cui le scene si ripropongono uguali a loro stesse, con stessi dialoghi e medesime interazioni, ma in contesti differenti che ne cambiano il significato e il sottotesto emotivo. Stavolta tutti gli strumenti cinematografici del regista vengono utilizzati per oliare un meccanismo comico che disvela l’impossibilità di andare a fondo, l’essere condannati ad una superficialità (di pensieri, azioni, emozioni) che è tanto ridicola in alcuni momenti quanto disarmante e malinconica in altri.
Negli ultimi anni, però, il cinema di Hong Sang-soo si è fatto sempre più metacinematografico e autoriflessivo. Ed è così che si può immaginare la stralunata Iris come un alter ego dello stesso autore: proprio come lui, l’insegnante ascolta le esperienze degli altri e le «traduce» alla sua maniera, in una lingua che loro non ancora conoscono (il cinema), tentando sempre di far emergere differenti sfumature nelle intenzioni anche quando si tratta di tradurre frasi identiche tra loro. In questo modo, nell’ossessiva ripetizione (altro meccanismo tipico appunto di questo cinema), non solo si comprende meglio il significato, ma ci si abitua progressivamente ad un linguaggio nuovo, assimilandone gli elementi di base utili poi, in un futuro, a costruire autonomamente le proprie frasi.
Ma Iris è anche in qualche modo “un ospite” (nel senso pasoliniano di Teorema) che sconvolge le vite di quelli che la incontrano, ne rivela le debolezze, le idiosincrasie, con la capacità di far dire loro quello che hanno paura di rendere esplicito. Anche in questo caso, però, nessuno dei protagonisti sembra volere davvero “liberarsi” e “salvarsi” (sempre nel senso pasoliniano, in cui l’estraneo è anche emissario divino, figura mistica). L’apatia sembra vincere sulla possibilità di eversione gentilmente offerta da questa donna che viene dal nulla e che probabilmente nel nulla è destinata a scomparire subito dopo la chiusura del film. Se il suo transito sulla terra - o meglio, su quel pezzo di terra chiamato Seoul - lascerà effettivamente delle tracce, non lo sapremo mai.
“Come ti può piacere qualcuno che non conosci nemmeno?”, domanda la mamma del mite giovane studente Inguk (Ha Seongguk), che ospita Iris a casa per un ambiguo scambio di favori. Hong Sang-soo ci dice che è possibile. Che si può diventare amici di una donna senza storia e senza futuro ovvio, che avviciniamo in un minuscolo passaggio della sua vita, giocando sulla curiosità umana, sul piacere di osservare gli sconosciuti e di fabbricare storie su di loro. Non è anche questo il cinema?
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