I film dei Coen sono unici perché si basano su di una successione di scene che non sono mai comiche di per sé, ma che fanno ridere per la loro precisa collocazione nella narrazione. Le cose che accadono ai personaggi dei loro film sono quasi sempre dolorose o sgradevoli, ma sembrano ridicole perché avvengono con un tempismo che le rende tali. È quindi scontato che nella loro prima opera episodica, The Ballad of Buster Scruggs, l’ordine di ogni singola scena che compone il film non possa essere casuale. Ciascuna ballad, pur avendo un proprio inizio e una propria conclusione, serve a leggere diversamente quella che la precede e quella che segue nella sequenza. I Coen scelgono di non bilanciare in maniera equa le vicende più spassose e quelle più malinconiche, ma creano un equilibrio precario cominciando nella maniera più farsesca possibile e lasciando chi guarda nella convinzione che qualcosa di ridicolo debba per forza accadere anche nelle scene successive. Il primo episodio, infatti, ricorda il cinema di animazione, usa le canzoni in maniera sempre carnevalesca tornando ai primi anni del sonoro, quando si ricorreva ad ogni ridicolo espediente pur di usare quella che allora era considerata una grande innovazione tecnologica.
Ogni episodio del film è ben riconoscibile nei colori e nella regia e si rifà ad una precisa declinazione del genere, da quello degli anni ’60 e ’70 a quello moderno di Peckinpah, dalle carovane di John Ford ad un viaggio in carrozza verso l’aldilà che sembra essere uscito da una parodia coeniana di un dramma di Bergman. Nel cinema dei Coen le “epifanie” dei personaggi sono sempre rivelazioni effimere che si scordano a suon di pugni e ceffoni (come quello che riceve Clooney in Ave, Cesare e che gli basta per abiurare il comunismo) e le loro convinzioni su ciò che sono in grado o meno di fare (così come quelle del pubblico, che si fa una precisa idea su di loro) non valgono nulla e in un secondo possono essere rase al suolo da un colpo di fucile. Non ci si può fidare delle persone, che se ti seguono è solo per colpire alle spalle, come non ci si può fidare del proprio cavallo, che farebbe impiccare il proprio padrone pur di mangiare dell’erba. Persino la poesia dell’Ozymandias di Percy Bysshe Shelley e le parole di Abraham Lincoln sulla democrazia sono prive di senso: chi comincia a crederci davvero, a furia di ripeterle, farà la fine dell’illuso che è.
“È la tua prima volta, vero ?”
― James Franco (rivolgendosi ad un uomo che piange prima della sua impiccagione)
Ma anche gli episodi meno ridanciani, come quello di Liam Neeson nei panni di un personaggio apparentemente buono come Schindler ma invece più simile ai padroni del circo di Freaks, sono pervasi da un senso di fine ineludibile che arriva sempre in maniera comica, rivelando le ragioni insulse per cui si muore o le decisioni banali per cui si uccide. Se i paesaggi dei primi episodi sembrano fasulli, da luna park, irreali perché non c’è nessuno che li popola se non i personaggi che servono alla narrazione, un paesaggio vergine di pianura diviene reale agli occhi dello spettatore solo quando sono i Coen a decidere che deve esserlo, nel momento in cui si soffermano su fiori e animali.
Se i film dei Coen non sono mai parodie di genere, nè omaggi che vogliono onorare qualcosa rifacendola, anche la loro prima opera episodica nasce dalla profonda conoscenza del cinema che vorrebbero rielaborare per arrivare poi a desintazioni diverse. Il genere si piega alle esigenze di chi lo usa e non viceversa.
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