Articolo di Viola Vanella.
Questo nuovo piccolo capolavoro d’intelligenza firmato dal duo Mariano Cohn e Gastón Duprat risponde perfettamente alla definizione che della cucina argentina ne dà il protagonista, critico culinario snob e cinico, interpretato splendidamente da Luis Brandoni: un’invenzione mostruosa eppure geniale, che consiste in un mix fantasioso di piatti italiani e spagnoli che però non esistono davvero né in Italia né in Spagna. Che poi è esattamente quello che succede oggi con tantissime serie tv prodotte per le piattaforme e pensate fin da subito per un pubblico globale, create mischiando ingredienti che ne ricordano vagamente altre, in maniera tale da dare l’impressione agli spettatori di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo ma comunque familiare, a cui ci si è già fatti la bocca (e gli occhi). Ed è così che, fin dall’inizio, Cohn e Duprat tracciano un raffinato parallelismo tra Buenos Aires e New York attraverso le inquadrature (le griglie delle strade come quelle di Manhattan), la musica utilizzata (jazz elegante ma poco impegnativo come Allen insegna), persino le luci dei lampioni e la scelta delle location: parchi, caffè, ristoranti che ne ricordano di più iconici e conosciuti nella Grande Mela. Lo stesso Manuel Tamayo Prats, dandy in decadenza sempre con il broncio, famoso per il suo carattere poco accomodante, che vive di rendita sulle spalle di un passato di grande influenza, ha un alter-ego statunitense decisamente più noto: lo scrittore di origini italiane Vincent Parisi, portato su schermo, grazie ad una miracolosa scelta di casting, da Robert De Niro (diretto benissimo - e quindi bravissimo - persino quando il suo apporto si limita al voice-over o a brevi interventi da narratore esterno). In questa equazione, De Niro sta a Brandoni come l’obelisco di Buenos Aires sta a quello di Washington: più grande e più famoso nel mondo.
Come sempre, il duo di registi argentini si riconferma imbattibile nel creare umorismo amplificando piccoli dettagli di scena, come ad esempio fanno con il colore giallo, onnipresente nei primi tre episodi e al centro di una gag irresistibile che fa nuovamente incontrare Brandoni con Guillermo Francella, già suo co-protagonista in Mi Obra Maestra. Un “terribile e intenso giallo uovo” che è anche quello della montatura degli occhiali indossati da Manuel, che straborda nel mondo circostante dando immediatamente l’idea a chi guarda di una personalità e di un ego incontenibili e di una realtà tutta vissuta attraverso il proprio incrollabile gusto personale. Il dosaggio del giallo diminuirà poi con il passare degli episodi, a sottolineare infatti una maggiore attenzione del protagonista verso le vite degli altri, fino a quel momento ignorate o comunque considerate rilevanti solo per le ragioni che le legavano alla sua.
Cohn e Duprat accettano la sfida dell’internazionalizzazione della propria serie - destinata appunto allo streaming online - e giocano con la lingua locale per indurre la risata anche in chi quella lingua non la mastica, lavorando con le parole come si fa generalmente con i rumori e il sound-design, da sempre tra gli strumenti umoristici preferiti dalla coppia di registi (come dimostra una scena ormai cult di Competencia oficial). L’insistenza sul modo di pronunciare i nomi delle pietanze (e gli insulti!) viene esasperata, così come le varie inflessioni degli attori, creando un sistema di suoni che acquista un proprio senso comico al di là dell’idioma parlato. Allo stesso tempo, e in questo sta forse l’operazione più sofisticata, creano un prodotto facilmente “esportabile”, replicabile altrove, in altri Paesi, seguendo pochissime linee guide, come avviene con gli Spot Paintings di Damien Hirst e con tante altre opere di quell’arte contemporanea spesso presa in giro nella filmografia dei due argentini: manufatti replicabili successivamente e innumerevoli volte rispettando delle semplici indicazioni fornite dall’artista originale. Di Nada se ne può facilmente immaginare una versione italiana, francese, tedesca, se mai qualcuno decidesse di acquistarne i diritti per farne dei remake “nazionali”. È questa oggi una delle richieste imprescindibili che il mercato impone per le serie umoristiche, specialmente per quelle prodotte in Paesi non anglofoni. Cohn e Duprat la soddisfano pienamente, ma allo stesso tempo prendono in giro con sottile ironia questa tendenza alla globalizzazione dell’immaginario televisivo, spesso schiacciato su quello americano.
Comments