Non è la psicomagia la chiave attraverso la quale decifrare il cinema di Alejandro Jodorowsky, bensì sono i suoi film a dirci qualcosa sulla “pratica terapeutica” che ha ideato, per definizione anti-surrealista (non adatta il sogno alla realtà, bensì insegna alla realtà a prendere la forma del sogno) e anti-psicoanalitica (la psicoanalisi utilizza le parole, la psicomagia le azioni). Ogni “atto” che viene mostrato in Psicomagia - Un’arte per guarire sembra nascere prima di tutto da un’immagine o dall’idea di una immagine. E anche quando non è così, è comunque un’immagine (il proprio riflesso, la foto di un proprio caro) lo strumento per raggiungere la “guarigione”. Tutte le azioni che Jodorowsky “dona” a chi lo chiede sono in realtà messe in scene, atti performativi. Quindi inevitabilmente fasulli, menzogneri. Ma se da spettatori possiamo accettare (forse) una dose di bugie da Jodorowsky, i suoi pazienti mentono innanzitutto a loro stessi. Il modo in cui vengono collocate le scene tratte dalla sua filmografia (messe sempre all’inizio di ogni episodio) ci fa capire una cosa: che se è vero che la psicomagia non può essere utilizzata per comprendere il cinema di Jodorowsky, è però vero che si può utilizzare la sua filmografia come un manuale di psicomagia.
Al cinema dall’8 ottobre per Mescalito Film.
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