Già in quello stranissimo ibrido tra cinema americano (solo nella concezione, per nulla nella realizzazione) e cinema nostrano che era Il Ragazzo Invisibile, traspariva la passione e la determinazione del suo autore, che non mancava di evidenziare la sua visione unica con una serie di decisioni stilistiche e narrative precise. Gabriele Salvatores è sempre stato un “terrorista di generi”, per scomodare un maestro a lungo dimenticato del nostro passato cinematografico, che in più di una occasione, con risultati non sempre eccelsi, si è cimentato in operazioni impensabili per il nostro Paese, almeno da quando i registi italiani si sono convinti che il neorealismo fosse la sola eredità da raccogliere. Film di genere che invece prima, con Marco Ferreri o con lo stesso Fulci, producevamo in numero cospicuo e spesso con successo.
Come era ovvio che fosse, Seconda Generazione non è più la minuscola storia di un giovane supereroe che usa poteri a-normali per venire a capo della sua normalissima esistenza, ma l’epopea di un gruppo di “speciali” reduci da un lager che cercano di sopravvivere e magari vendicarsi di chi per anni ha abusato di loro. E la sceneggiatura di questo sequel amplia in maniera coerente l’universo cinematografico de Il Ragazzo Invisibile, dalla maturazione del suo protagonista (che è cambiato così vistosamente in tre anni che pare di assistere ad uno degli esperimenti col tempo di Richard Linklater) alla costruzione di un proprio immaginario. Eppure Seconda Generazione sembra soffrire degli stessi problemi del suo predecessore, anche volendo trascurare (ma è arduo farlo) i “visual effects” non sempre soddisfacenti e la recitazione inadeguata alle ambizioni di una produzione così grande.
Non si può non restare stupiti davanti alle numerose idee che affollano Seconda Generazione: ci sono “supereroi” che, usando i loro poteri, si logorano al punto che devono necessariamente trasfondere del sangue per tornare in forze, che vivono ai margini della società, spesso come ladri e criminali, in un mondo che non sa di loro. Il padre del protagonista deve alzare al massimo il volume della musica del suo stereo per non sentire i pensieri di chi lo circonda, è cieco ma può guidare una automobile guardando la strada dalla mente dei suoi passeggeri. Così la madre di Michele (quella vera, speciale come lui) è una alcolizzata che non si fa scrupoli a brindare con i propri "bambini" mandando giù diversi bicchieri di vodka. Yelena non dice nulla a sua figlia Natasha sul vizio di fumare sin da giovanissima, né vede nulla di sbagliato se i suoi figli per regalarle una collana decidono di svaligiare una gioielleria. Questo lassismo non è marginale nella trama, perché lo scontro generazionale non è in nessun modo benevolo nei confronti dei “grandi”: la seconda generazione dei nuovi “speciali” è migliore di quella dei loro padri non solo sul piano fisico (non deperiscono usando i loro poteri) ma persino su quello morale. Ed è la determinazione di questi ragazzi, non più alle prese con i problemi adolescenziali del primo episodio, ma con quelli creati dalla generazione degli adulti, che deve "vampirizzare" i più giovani per potersi salvare, ad essere il vero fulcro della narrazione.
Il grande sbaglio di Seconda Generazione, che era anche quello del primo episodio ma che è ancora più evidente ora che la vicenda si è complicata ed allargata, è di voler narrare una storia di supereroi senza capire cosa renda davvero così avvincente quel tipo di racconto cinematografico che milioni di giovani seguono oggi con passione. Così Il Ragazzo Invisibile, pur nella sua giusta ambizione di voler adeguare le regole di quel cinema americano ad una visione europea e personale, fallisce nel dare ad ogni svolta cruciale la giusta epica ed il giusto peso. Una delle (numerose) idee di Seconda Generazione è quella di stravolgere una celebre massima maoista per affermare che “l’evoluzione” non é un pranzo di gala. Ma non è un pranzo di gala neanche quel modo di fare cinema che Salvatores vorrebbe seguire, che si regge su di un rigore che la sua creatura così genuinamente naïve non possiede ancora.
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