Un vulcano in eruzione, due dinosauri che si scontrano ed una didascalia: “Da qualche parte vicino Manchester”. I primi secondi de I Primitivi basterebbero per rendere chiara la grande influenza di un certo umorismo inglese, in primis quello dei Monty Python, sui creativi che in questi decenni hanno trasformato la Aardman da piccolo studio di animazione a fenomeno cinematografico, prima con Galline in fuga e poi con Wallace e Gromit. Nick Park (questa volta senza i suoi fidati compagni come Steve Box o Peter Lord) è uno dei registi di animazione che più fa uso del linguaggio cinematografico tipico dei lungometraggi con interpreti in carne ed ossa nelle sue storie di uomini ed animali in plastilina. I Primitivi non fa eccezione ed ogni gag sembra divertire non tanto per la trovata comica in sé, ma per come questa viene messa in scena con una inedita consapevolezza delle prospettive e delle inquadrature.
I cavernicoli protagonisti della storia sono rimasti all’età della pietra, inconsapevoli dei progressi compiuti dai propri simili, perché rinchiusi in un cratere che per secoli li ha esclusi dal resto del mondo. Una piccola comunità isolazionista che è felice della propria stabilità e che mai penserebbe di cacciare qualsiasi animale più grande di un coniglio per paura di non esserne capace. Per questa ragione quando incontrano i loro “cugini” provenienti dalla età del bronzo, che con la forza li espropriano della loro valle per impossessarsi delle miniere lì presenti, scelgono di non affrontarli ma di ritirarsi capo chino nelle “badlands”. Sarà il più intrepido di loro, Doug, a decidere di sfidarli nel loro gioco sacro, ovvero il calcio, senza avere la minima idea delle sue regole ma animato solo dalla volontà di difendere la propria casa. “Sua calcità” Lord Nooth, un po’ come David Cameron, organizzerà la partita perché sicuro di vincerla, sopravvalutando le proprie capacità e senza comprendere a fondo le motivazioni e la determinazione dei suoi avversari, che reputa gli zimbelli della Storia. E cosa è stato il referendum sulla brexit se non una mossa elettorale nata da arroganza e calcoli sbagliati? Una proposta avanzata per risolvere problemi contingenti (la perdita di consenso) senza curarsi delle eventuali conseguenze sul lungo termine?
Per una serie di ragioni, specialmente cronologiche, I Primitivi non può essere in alcun modo una studiata allegoria del referendum inglese (anche perché, se visto in quel senso, lo definiremmo un cartone pro-brexit, che parla di una comunità che difende i propri confini dalle forze europeiste del bronzo), eppure gli stessi creatori hanno ammesso di aver dovuto modificare lo script per non prestare il fianco alle critiche. Forse proprio per questo la nuova opera di Nick Park, che sembra avere il respiro corto di un episodio televisivo ma la grandezza del cinema nella sua impostazione visiva, non è tanto una storia di bruti contro evoluti quanto una parabola sulla capacità di unione dello sport. È il calcio, insieme alla Corona, il solo legame tra il centro di questo ipotetico impero britannico e la sua periferia, dove regna la corruzione del governatore provinciale e le cui sorti non sembrano interessare una regina che preferisce comunicare tramite antipatici uccelli-messaggeri pur di non spostarsi di persona.
Ed è proprio il gioco del calcio, dove pesano la coesione della squadra e la capacità di aiutarsi a vicenda, il mezzo per veicolare un messaggio antitetico a quello separatista della brexit. I cavernicoli non solo si dimostrano estranei a qualsiasi forma di protagonismo (mentre i loro avversari sono prima divi e solo dopo calciatori) ma possono contare su di un elemento decisamente più moderno di qualsiasi padella in bronzo o macchina per tagliare il pane: l’inclusione. Sarà Ginna, esclusa dalla Real-Bronzo per il suo sesso, ad insegnare agli uomini (e alle donne) della pietra le strategie vincenti per giocare a calcio. In questa miscela di temi, che convergono poi verso una morale semplice ed accessibile ai suoi piccoli spettatori, I Primitivi tangenzialmente è anche un cartone sulla propria Storia passata, che non sempre vale la pena rivendicare con orgoglio contro il costante incedere della modernità, ma che è importante conoscere (la tribù scoprirà solo alla fine un segreto relativo ai propri antenati) anche nei suoi risvolti meno valorosi per poter affrontare i problemi del presente.
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