Articolo di Mauro Tessarolo.
Sembra che Yorgos Lanthimos stavolta abbia preso alle lettera quello che Alasdair Gray, autore del romanzo da cui è tratto Povere Creature!, scriveva nella prefazione del volume: “I lettori che non vogliono altro che una bella storia raccontata chiaramente dovrebbero saltare subito alle pagine centrali del libro”, evitando così la destrezza letteraria dello scrittore scozzese, gli inganni dei suoi narratori inaffidabili, l’abile pastiche delle convenzioni del romanzo vittoriano. Adottando la prospettiva di Bella - donna suicida, resuscitata impiantandone il cervello nel corpo di quello di un neonato, il suo - veniamo introdotti nel mondo ornato di Lanthimos quasi interamente attraverso i suoi occhi, rinunciando così parzialmente alla penetrante satira di Gray sull’ego maschile e sulla rozzezza degli uomini capaci di raccontare le donne solo riconducendole a termini che li riguardano. Povere Creature!, invece, opta per un racconto diretto di emancipazione femminile e oppressione patriarcale, in cui il cineasta greco si tratteggia, tra le righe, nei panni di uno scienziato prometeico.
L’idea di proporre un film di formazione con la variabile di un corpo già adulto è sicuramente vincente e il candore neonato fa di Bella una supereroina dell’affetto, pronta a resistere a qualsiasi sopruso con un distacco comico (e cosmico) che anestetizza la drammaturgia. Una sorta di Candido della condizione femminile, la protagonista conserva la freschezza del suo animo infantile e non si preoccupa di quello che dice la gente: mangia tanto, esprime tutto ciò che le viene in mente e, soprattutto, ama il sesso. A differenza di autori come Lars von Trier, però, Lanthimos si sforza di non appesantire mai la sua eroina con la morale, offrendole varie esperienze sessuali confidando che lei possa superarle senza traumi o sensi di colpa.
Favola anarchica perfettamente integrata nel sistema, essendo il film sotto il controllo della Disney (tramite Searchlight, la sua sussidiaria “autoriale” acquisita con Fox), Povere Creature! trova la sua spinta propulsiva nell’audace e liberatoria prova di Emma Stone. D’altronde, quando gli autori salgono ai vertici dell’industria per realizzare esattamente ciò che ci si aspetta da loro, quali rischi rimangono? Quelli che si prendono le attrici. La reinvenzione femminista hollywoodiana del corpo delle celebrità dà così a Stone, dopo Margot Robbie, l’occasione di mettere in campo mille trucchi per far schiudere il burattino, la bambola (o lo scimpanzé) che è in lei e immaginare una corporeità che rasenta il sublime.
La Barbie vittoriana è il mostro che sconvolge tutto ciò che incontra sul suo cammino, devasta il packaging fin troppo rifinito che inscatola il film e lascia che la sua carne invada l’inquadratura. Ai suoi piedi, le povere creature, appunto, i miserabili, e in particolare un avvocato trafitto e diseredato (Mark Ruffalo). Bella Baxter, sembra essere, in tal senso, un riflesso del formalismo dello stesso Lanthimos: uno che non conosce tatto o moderazione, convinto che tutto vada detto e, soprattutto, mostrato. Nel plasmare la sua creatura, è il suo cinema stesso che il regista plasma. Un cinema che, come la principessa di questa fiaba farsesca (addirittura pixariana, in alcuni momenti) è ancora zoppicante, ma almeno libero di esibirsi senza ostacoli.
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