Cannes 76 | Fallen Leaves, Aki Kaurismäki e la fiducia nel lieto fine
Ansa e Holappa sono single, non più giovanissimi, si conoscono a un improbabile karaoke, si piacciono e vanno al cinema a vedere The Dead Don’t Die, il film sugli zombie di Jim Jarmusch, presentato sempre a Cannes qualche anno fa. Uscendo dalla sala, un vecchio rocker con i capelli bianchi e la faccia segnata dal tempo dice all’amico: “Mi ha fatto pensare al Diario di un curato di campagna di Bresson”. Si ride. Poi qualche secondo dopo anche Ansa e Holappa (lui non sa il nome di lei e viceversa) escono dalla proiezione. Lei le scrive il suo numero di cellulare su di un foglietto e lui lo fa volare via per sbaglio mentre cerca di tirare fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca. Da lì comincia un inseguimento (ovviamente bradicardico) per ricongiungersi e finalmente dichiararsi il proprio amore. Aki Kaurismäki, da almeno vent’anni, gira sempre lo stesso (meraviglioso) film, con gli stessi schemi, gli stessi personaggi perdenti, la stessa estetica rock decadente e gli stessi vecchi successi radiofonici europei tradotti in finlandese. Ma stavolta c’è un romanticismo che lascia senza fiato nella sua capacità di sintetizzare tutto con un gesto. Una fiducia incrollabile nel lieto fine. Fallen Leaves è infatti un melodramma di Douglas Sirk al contrario, dove tutte le disgrazie che accadono ai due protagonisti anziché separarli fanno in modo che questi si ritrovino sempre insieme, con un sentimento ogni volta più chiaro e più potente.
I due protagonisti vivono nella contemporaneità, ma con gli strumenti (vecchi cellulari, internet point a gettone) e le abitudini (la radio anziché la televisione, i messaggi su carta) degli anni Novanta. Di tanto in tanto si sintonizzano sull’oggi attraverso una emittente radiofonica che trasmette in tempo reale notizie sull’invasione russa dell’Ucraina, da commentare con un sospiro di rassegnazione o con qualche timida esclamazione (e solo perché i continui resoconti bellici impediscono loro di ascoltare la musica in radio). Ogni elemento visivo contribuisce alla creazione di un sentimento sempre crescente di estraneità e anacronismo: nel mondo reale, la sopravvivenza del protagonista è un’eventualità utopica. E così il coronamento di quel sogno d’amore: un’inverosimiglianza che solo il cinema può assumere in sé. Ansa e Holappa sono reali e fittizi insieme: sono proletari in assenza del proletariato, soli in assenza di un’identità collettiva, abbandonati in una fascia d’età che è quella in cui nessuno si prende più cura di te (troppo grandi per essere accuditi, troppo giovani per essere assistiti). Ancora una volta, quindi, il cinema di Kaurismäki trova nella solidarietà e nel mutuo soccorso le uniche vie praticabili per arrivare sani e salvi a domani. Anche in questa tragicommedia che mette a dura prova la coppia di protagonisti, così sciagurati eppure così dignitosi, così provati ma disposti a rialzarsi dopo ogni colpo che viene loro inflitto, smentendo la canzone scritta da Jacques Prévert da cui il film prende il titolo. Stavolta le foglie d’autunno possono continuare a cadere senza tristezza. La vita non ha separato i due amanti, ma anzi ha fatto di tutto affinché, alla fine, potessero camminare insieme, portando a spasso un cane dal nome che è anche un manifesto di intenti: Chaplin.