Eternals è ad oggi il film migliore del Marvel Cinematic Universe (e di Chloé Zhao)
Il cinema di Chloé Zhao è da sempre un processo di revisione dei codici cinematografici statunitensi. Lo è fin dai tempi dell’esordio Songs My Brothers Taught Me, in cui rimetteva in scena con un nuovo stile - camera a mano e attori non professionisti - i testi di Tennessee Williams già ampiamente adattati dalla Hollywood degli anni Cinquanta (da A Streetcar Named Desire a The Fugitive Kind), decolonizzando quella mitologia e affidando la ridefinizione del suo significato a personaggi indigeni (che si appropriavano delle icone di quel mondo: il tramonto, il cowboy, il paesaggio arido). Processo che è poi proseguito con The Rider e Nomadland, rendendo esplicito il tentativo di riscrivere il cinema di frontiera in chiave progressista e inclusiva, mettendo in scena protagonisti in grado di trascendere le categorie coloniali. Ignorando le rigide categorie fissate nel tempo e presentando la frontiera come un luogo di ibridazione di genere e contaminazione etnica, Zhao ha cercato di riscattarne il mito dai suoi orpelli imperiali e di cercare nei luoghi periferici la loro potenzialità inespressa.
Non è quindi un caso se la Marvel ha pensato a lei (ben prima del trionfo di Nomadland) per il ventiseiesimo film dell’Universo Cinematografico fondato nel 2008, quello che inevitabilmente avrebbe avuto il compito di rileggere gli eventi che erano stati raccontati fino a quel momento attraverso uno sguardo diverso, realmente moderno. È stata quindi la major a cercare Chloé Zhao per avviare con lei un processo di revisionismo del genere supereroistico che era stato accuratamente programmato (e che quindi non è stimolato spontaneamente da qualche regista in controtendenza rispetto alla tradizione ufficiale, come avvenuto per il genere western alla fine degli anni Sessanta). Paradossalmente, proprio in un blockbuster come Eternals, accettando decisioni già prese dalla propria casa produttrice, il cinema di Zhao (ex studentessa di scienze politiche) trova quella componente militante di cui è sempre stato - più o meno consapevolmente - carente (spesso diminuendo la forza delle proprie rivendicazioni). Come Ece Temelkuran e altre intellettuali contemporanee, Zhao cerca quelle parole inconfutabili attorno alle quali potersi riunire, sulle quali fondare “una complessa negoziazione con l’epoca che viviamo”. In un mondo in cui la politica delle emozioni è monopolizzata dall’estrema destra, i progressisti devono avere qualcosa da dire, inserire il sentimento nel loro pensiero e nella loro proposta, cercare emozioni troppo vicine al cuore umano per essere alienate dalla polarizzazione politica. Questo fa un film come Eternals, fa dello “stare insieme” una proposta politica oltre che morale, senza farla apparire come una imposizione aziendale (come invece accadeva in maniera un po’ goffa nei precedenti film Marvel), ma sempre presentandola allo spettatore con la naturalezza della realtà, raccontando la diversità della razza umana secondo quasi tutti gli indicatori possibili (geografici, etnici, culturali, sessuali).
Fin dall’inizio gli Eterni vengono presentati al pubblico come impiegati che non conoscono tutti i dettagli del loro incarico, obbediscono agli ordini di capi severi e non riescono a nascondere la propria invidia per i colleghi più famosi e più furbi (gli Avengers). Non c’è però in questo caso nessuna volontà di accusa nei confronti dello studio che produce il film (come invece avveniva in Dumbo nei confronti della Disney): Chloé Zhao aderisce con entusiasmo al progetto Marvel, prende in mano un “trattamento” praticamente già definitivo e non cerca in alcun modo di stravolgere le coordinate cinematografiche del proprio universo di riferimento, bensì di rinnovare l’interesse del pubblico verso quel tipo di cinema e allo stesso tempo dire qualcosa di rilevante rispetto al presente, proponendo una personale visione del mondo e dell’umanità che lo popola (e in questo c’è il vero salto in avanti rispetto ai precedenti film). Così facendo, Eternals lascia intravedere una possibile società del futuro, credibile e immediatamente immaginabile, che però richiede l’azione degli esseri umani contemporanei per essere attuata. Attraverso il processo di reclutamento e formazione del gruppo di eroi (nel presente), il film di Chloé Zhao proietta la possibilità di un “popolo a venire”, di una nuova comunità animata da tante culture e sensibilità differenti che nell’unione non si annullano, ma si rafforzano reciprocamente.
Minoranze e minoranza, considerando la composizione decisamente più ridotta degli Eterni rispetto alle formazioni pletoriche di Infinity War e Endgame: il divenire è sempre minoritario rispetto alla maggioranza del presente, che riflette uno stato di dominio e di momentanea affermazione di determinate qualità. È il modello già sperimentato da Sense8, ma di cui viene completamente ribaltato il meccanismo narrativo fondante: non vi è un processo di progressiva affermazione della propria alterità rispetto all’Homo Sapiens, ma un desiderio di immedesimazione con il diverso (gli umani) attraverso l’empatia e la condivisione di un destino comune. Non c’è un gruppo di “diversi” che deve lottare per affermarsi nella moltitudine che li vorrebbe “uguali”, ma un gruppo di pari che cerca la vicinanza emotiva con chi è diverso da loro. Proprio come nella serie delle sorelle Wachowski, vi è un meccanismo di “deterritorializzazione” geografica da intendere come un movimento che produce cambiamento: indica il potenziale creativo di un concatenamento, libera le relazioni fisse che imbrigliano i corpi, esponendoli a nuove organizzazioni.
Il cinema supereroistico americano si è progressivamente disinteressato delle “preoccupazioni individuali” dei suoi protagonisti, enfatizzando il valore collettivo delle azioni perpetrate dai singoli. Eternals contiene la promessa di inaugurare una nuova era di “uguaglianza nella differenza” tra tutti gli abitanti del pianeta Terra, più specificamente tra gli Eterni e la specie umana, irrefrenabilmente distruttiva, sebbene, paradossalmente, irrefrenabilmente creativa. Stavolta però non è l’afferenza ad uno stesso genus (Homo) il motivo di prossimità tra i due gruppi (come nel caso dei sapiens e dei sensorium in Sense8), ma la co-abitazione sul pianeta Terra. Lo stacco netto tra la CGI delle sequenze “cosmiche” e la naturalezza con cui vengono fotografate le bellezze terrestri riflette un maggiore coinvolgimento emotivo nella contemplazione di queste ultime e nelle vicende umane di cui sono sfondo, la necessità di proteggere la propria casa comune e custodirla per le prossime generazioni. In questo il film di Chloé Zhao serve uno degli scopi che Deleuze attribuiva al cinema: vincere il limite di una platea di spettatori formata da cittadini che già esistono, contribuendo all’invenzione di un nuovo modello di società e di cittadinanza, possibilmente migliore.