Vermiglio, il ventre della montagna accoglie la vita che scalpita

Come l’hogar del precedente Maternal, una casa famiglia per ragazze madri gestita da suore, anche la nuova ambientazione del secondo lungometraggio di finzione di Maura Delpero (il paesino di Vermiglio, che dà il titolo al film) è un luogo tanto isolato quanto pieno di vita, in continua trasformazione, sempre pronto ad accogliere nuovi figli, al punto da non riuscire a capire, almeno inizialmente, se si tratti di un rifugio o di una prigione, specialmente per le donne che ci vivono dentro. Uno spazio problematico, ricco di divieti così come di possibili fonti di realizzazione. Anche in questo caso, le confuse aspirazioni e i desideri delle giovani ragazze, trasformate troppo presto in madri o chiamate repentinamente a prendere decisioni irreversibili sul loro futuro, finiscono per scontrarsi con la rigidità delle regole che l’ambiente in cui vivono impone loro. Regole che nel precedente film sottostavano alle convenzioni ecclesiastiche e che in questo caso vengono dettate dalla figura maschile (completamente assente in Maternal) del pater familias: austero maestro dell’unica scuola del paese, convinto che l’accesso agli studi “alti” debba essere garantito solo a chi eccelle e che tutti gli altri possano invece accontentarsi di una vita modesta e ordinaria. La famiglia, in questo secondo film di Delpero, ambientato negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, è infatti una severa organizzazione che prevede un lungo elenco di formalità da espletare, oltre che di rigidi ruoli da rispettare e dai quali è difficile emanciparsi. Se in Maternal la messinscena era prevalentemente orizzontale, in maniera tale da rendere evidente il destino comune che legava le protagoniste, in questo caso sembra sempre esserci un gioco di primi e secondi piani che tiene i diversi personaggi separati gli uni dagli altri, schematicamente collocati da un lato o dall’altro della cattedra, del tavolo, dell’inquadratura. Gli unici momenti in cui si torna tutti sullo stesso piano sono quelli notturni, negli stanzoni in cui si riposa assieme e in cui si ha la possibilità, specialmente per i fratelli e le sorelle, di raccontarsi liberamente, lontani dai giudizi dei propri genitori.

Se nel precedente lungometraggio emergeva il passato da documentarista di Delpero - non solo nella scelta del contesto narrato, ma anche nel taglio cinematografico che veniva dato al film - in questo caso appare evidente fin dai primi minuti di trovarsi davanti a un’ambientazione (ri)creata, inventata e minuziosamente messa in scena. E così la storia famigliare di gravidanze tormentate, lutti inaspettati e allontanamenti dolorosi, non nasconde un gusto spiccatamente letterario, una costruzione artificiosa, da cinema di altri tempi, che allontana Vermiglio irrimediabilmente dagli esordi di indagine sociale di Moglie e Buoi dei Paesi Tuoi (pure ambientato in luoghi non troppo lontani da questi). Nonostante l’iniziale distanza, però, la regia di Maura Delpero riesce comunque progressivamente ad entrare in questa palla di vetro con la neve dentro, prima osservabile solo dall’esterno, apparentemente impenetrabile, avvicinandosi emotivamente ai suoi protagonisti, a far comprendere allo spettatore le loro frustrazioni, le loro speranze, le loro preoccupazioni. Sia Maternal che Vermiglio sono due film sulle donne che assumono come punto di vista privilegiato quello dei bambini, tracciando un solco tra la giovinezza (che è quella della prole, ma anche quella delle giovanissimi mamme) e l’età adulta, tra la tradizione e la speranza di un cambiamento in arrivo. Collocandosi in questa situazione di transizione, anche storica, il film riesce a raccontare di donne che sono indubitabilmente figlie del loro tempo ma che allo stesso modo già fremono di un desiderio di autodeterminazione, anche segreto, nascosto, sussurrato, che ribolle dentro di loro e anticipa scenari differenti. Il cinema di Maura Delpero continua così, ostinatamente, a raccontare di sorellanza, di maternità imperfetta, dello scompiglio dell’adolescenza bruscamente interrotta. E lo continua a fare attraverso storie che si svolgono in luoghi che assomigliano sempre più a enormi pance in cui la vita fiorisce incessantemente, scalpita e scalcia, impaziente di uscire fuori da un ventre eccessivamente protettivo.