Venezia 79 | Pearl di Ti West è ad oggi il miglior horror sul lockdown
Dopo essersi sdoppiata tra una nuova stella del porno (Maxine) e la moglie di un vecchio contadino avvizzito che sperava ancora essere oggetto del suo desiderio, Mia Goth (qui anche co-sceneggiatrice e produttrice) torna nel ruolo di Pearl nel nuovo film di Ti West, prequel dell’acclamato X - A Sexy Horror Story, mettendone in scena la giovinezza nel 1918. Prima con grande moderazione, cercando di essere la persona che sua madre vorrebbe che fosse, che il suo sposo, lontano a causa della guerra, vorrebbe che fosse, che i film e la società di quel periodo vorrebbero che fosse. E poi sempre di più allontanandosi da quei modelli che non sono i suoi e lasciandosi vincere dalle pulsioni violente che non riesce a trattenere, aggravate da una solitudine estrema imposta dalla diffusione dell’influenza spagnola, che costringe la ragazza a casa insieme alla severissima madre e al padre ormai immobile e (apparentemente) incosciente. I problemi di Pearl si fanno sempre più visibili a causa di questa lontananza dalle altre persone, al punto da rendere quello di Ti West il miglior horror (ad oggi) realizzato sul lockdown e sulle sue conseguenze, sulla paura di non poter mai più uscire da quell’isolamento o, peggio, di uscirne e scoprire che si è rimasti indietro rispetto a tutti gli altri (non a caso il film è stato pensato durante il periodo di stop alle produzioni causato dal Covid). Il vero obiettivo di Pearl è però un altro ed è quello di far cambiare il giudizio dello spettatore su quanto raccontato nel film originale ambientato alla fine degli anni Settanta. Quell’ageismo che permeava X trova, alla luce di questo prequel, un senso tutto diverso, riconfigurandosi come il culmine di una lunga esistenza trascorsa perennemente bramando il piacere fisico senza mai ottenerlo. Pearl, di fatto, finisce quindi per migliorare X essenzialmente svelando tutte le carenze e la repressione che hanno fatto impazzire la donna, restituendo profondità psicologica ad un personaggio che prima non ne aveva.
Se il modello di X era il Tobe Hooper di Texas Chainsaw Massacre, quello di Pearl è What Ever Happened to Baby Jane? di Aldrich. E se il primo film si adeguava alla hagsploitation, ovvero al vizio del cinema dell’orrore di associare l’immagine della donna anziana a quella di una strega non più in grado di produrre vita, ma solo di essere simbolo della fine e del decadimento, questo prequel ribalta il punto di vista e ci racconta un contesto, quello hollywoodiano, dove si è vecchie fin dall’adolescenza, in cui anche a vent’anni bisogna rincorrere sempre chi è “più giovane e più bionda”. Un ambiente in cui il destino delle ragazze è già segnato e non concede deviazioni, come d’altronde è già segnato il cammino della protagonista, che conosciamo dal precedente film. Pearl, nel suo aspetto vivido da fiaba Disney, idealizza la realtà bucolica nel quale si svolge e rimanda ai musical cinematografici degli anni Trenta e Quaranta e ai melò di Douglas Sirk. Ma sotto questa patina, spente le luci del palco dove si esibiscono le ballerine e le flapper, già brulica il fiorente commercio della pornografia, che poi X tratterà in maniera più estensiva. Ancora una volta, nel cinema metatestuale e piantato con i piedi nel secolo scorso (non tanto per nostalgia, ma per esigenza di mimesi) di Ti West, è l’immagine filmica ad anticipare ciò che poi accadrà ai personaggi (d’altronde i sogni di Pearl sono proiezioni cinematografiche delle sue aspettative). Il fotogramma inteso come premonizione, come indizio del futuro già irrimediabilmente fissato su pellicola.