Sorry We Missed You, il cinema di Ken Loach commuove con le dissolvenze a nero
Da sempre nel cinema di Ken Loach le convinzioni ideologiche sono anche e soprattutto convinzioni (e convenzioni) formali. Ma se è innegabile che anche il nuovo Sorry We Missed You ricalchi fedelmente la struttura filmica ormai collaudata dal duo Loach/Laverty, è altrettanto impossibile negare un cambiamento che è esplicitato già nel titolo, che non si definisce più da sé (Io, Daniel Blake o My Name Is Joe) ma invece afferma l’assenza (“sorry we missed you” è ciò che i corrieri scrivono sugli avvisi di consegna quando non trovano in casa il cliente) di un personaggio principale al quale potersi relazionare costantemente. Lo spettatore conosce pochissimo di Ricky Turner, del suo passato, dei suoi trascorsi. E nel corso del film non si avvicina mai a lui: non c’è tempo per affezionarsi e gli unici momenti di intimità che è concesso “spiare” sono sempre brevissimi, destinati ad essere interrotti.
Nel rigido schema del cinema di Loach, ogni più piccola modificazione assume un rilievo enorme. Quelle dissolvenze a nero che in Io, Daniel Blake venivano utilizzate dal regista come dimostrazione di pietà nei confronti della sofferenza dell’individuo, di fatto impedendo allo spettatore di guardarla ulteriormente con il rischio di provare non più compassione ma commiserazione, adesso arrivano quando tutto ciò che c’era da vedere è già stato visto. Quello che inghiotte i personaggi dai margini dell’inquadratura è il buio risolutivo di una giornata che si chiude per ricominciare uguale a se stessa. Ed è proprio nelle dissolvenze a nero di Sorry We Missed You che emerge tutto il radicale pessimismo di un regista che, non credendo alla possibilità di correzione del capitalismo, lotta per un sistema alternativo ad esso.
Senza un’alternativa non può esserci scampo da quella soluzione di montaggio, ma Ricky Turner, a differenza di Daniel Blake, è reso privo degli strumenti necessari per condurre la propria battaglia. La sua è una resistenza immobile, intesa come capacità di resistere alle sollecitazioni e non come abilità di opporsi ad ogni attentato o minaccia ai propri diritti fondamentali. Lo spazio per difendere la propria dignità è limitatissimo e la condanna ad uno sfruttamento infinitamente replicabile sembra essere definitiva fin dalle prime battute, quando viene introdotto il concetto di “autonomia”, mai intesa come possibilità di decidere per se stessi, ma come isolamento dalla collettività del lavoro (quella che nei precedenti film di Loach era spesso l’unico strumento per il riscatto).
In assenza di una comunità di colleghi, Loach indica la famiglia come mezzo di difesa dagli abusi e come ultimo baluardo di solidarietà. Sorry We Missed You espone già nei primi minuti la tesi che dovrà poi essere dimostrata nel corso del film: che la libertà del franchising non esiste e che la promessa di indipendenza è un ricatto per sottrarre al lavoratore anche le tutele basilari. E come è ovvio che avvenga in un cinema ideologico come quello di Loach, questa tesi è data per vera e mai messa in discussione. Ma la pervicacia con la quale il film cerca di affermare la specifica vicenda dei Turner come unica realtà credibile non è mai metodica, ma mossa da una commovente vicinanza ai propri personaggi, sempre guardati con indulgenza anche quando compiono le azioni più deprecabili (le infinite possibilità che vengono concesse a Seb, anche dopo l’ennesima bravata, testimoniano una necessità di perdono e comprensione inesistente altrove).
Non c’è più l’idea del “working-class hero” che reagisce per ottenere ciò che gli spetta. Ricky Turner accetta la sua condizione per necessità (come sempre nei film di Loach) ma anche per una ingenua speranza di miglioramento (non rinnegando mai l’idea di aver accettato il lavoro per riuscire finalmente a guadagnare qualcosa di più e comprare così una casa propria). Non è la tecnologia (di per sé neutrale) a creare nuove forme di sfruttamento, ma il sistema economico che utilizza quella tecnologia con il solo scopo di ridurre il costo del lavoro. Era a causa delle surreali dinamiche della burocrazia inglese se Daniel Blake, affetto da patologica cardiaca, veniva dichiarato “fit to work”. Ma tre anni dopo le cose sono addirittura peggiorate e non è prevista altra possibilità se non quella di essere sempre disponibili a lavorare.
Sorry We Missed You, come viene ricordato spesso, si svolge dopo la crisi del 2008 (la stessa famiglia Turner ha già dovuto affrontare le drammatiche conseguenze di quel passaggio). È perciò un film dell’anno zero, dopo la crisi, nel pieno della gig economy. Cosa è rimasto in piedi dopo quel terremoto? Io, Daniel Blake descriveva le mancanze del “welfare state” inglese, l’assurdità dei nuovi e moderni Comma 22 (se sei malato puoi chiedere una indennità, ma se chiedi una indennità vuol dire che stai abbastanza bene da poter lavorare) e le storture di un sistema sociale che scricchiolava ma che nonostante tutto era ancora lì (addirittura facendo trapelare la possibilità di una tardiva vittoria). Sorry We Missed You, con una essenzialità stilistica disarmante, mette in scena una realtà in cui le persone sono ormai completamente abbandonate a loro stesse. Non c’è più nulla attorno a loro. Tutto è stato azzerato e bisogna ricominciare da capo.