Quello di Srebrenica fu un genocidio? Jasmila Zbanic risponde attraverso il cinema
Per diversi anni il mondo degli intellettuali si è diviso nel rispondere ad una domanda ben precisa: può il massacro di Srebrenica essere paragonato all’Olocausto? Su questo dilemma solo apparentemente linguistico si espresse, con una posizione che fece scalpore, anche Noam Chomsky, scrivendo che quello di Srebrenica fu “un crimine grave”, una “storia di orrore”, ma che utilizzare il termine “genocidio” per riferirsi a quanto avvenuto durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina avrebbe sminuito il reale significato di quel termine (“sistematica distruzione di una popolazione, una stirpe, una razza o una comunità religiosa”, caratterizzato quindi da un imprescindibile elemento di pianificazione e progettazione). Polemiche sulla sua posizione espressa rispetto a quei crimini nacquero, più recentemente, anche attorno al conferimento del premio Nobel a Peter Handke, autore di “Un viaggio d’inverno".
In concorso alla 77esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Quo vadis, Aida? di Jasmila Zbanic, già Orso d’Oro a Berlino nel 2006 con Il segreto di Esma, anch’esso su di una donna alle prese con i traumi della guerra in Bosnia-Erzegovina, risponde a quel quesito semantico utilizzando prima di tutto il linguaggio cinematografico. Jasmila Zbanic paragona quindi ciò che è avvenuto a Srebrenica con l’orrore dei campi di concentramento nazisti aderendo al modello cinematografico da sempre utilizzato per descrivere quelle vicende. Anche traslando di contesto le immagini che tipicamente lo spettatore (televisivo e cinematografico) associa alla Shoah, il film di Zbanic raggiunge immediatamente il suo obiettivo grazie alla precisione della sua messa in scena: convincere chi guarda di trovarsi davanti ad un racconto di un altro Olocausto, profondamente e sostanzialmente simile a quello perpetrato in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale.
Non è forse un caso che a rispondere in maniera così netta al quesito sulla “definibilità” di ciò che è avvenuto a Srebrenica ci sia un film che ha come protagonista una traduttrice che traduce ciò che già tutti sanno. Quasi nessuno degli interlocutori aspetta la traduzione della donna (e chi lo fa, lo fa solo per rispetto), perché tutti in qualche modo sanno già cosa verrà detto loro, anche se non comprendono le parole con le quali queste cose vengono dette. Così anche le azioni di Aida non sono dettate dalla volontà di prevenire qualcosa che potrebbe accadere, ma di scongiurare ciò che è sicuro accadrà. Come già avveniva ne Il sentiero, anche Quo Vadis, Aida? si pone l’arduo obiettivo di rappresentare la complessità e contraddittorietà della personalità umana di fronte alle difficoltà. Così Aida non è mai davvero integerrima (ma disposta ad umiliarsi e ad implorare) e mai davvero solidale (perché mette il destino dei propri cari prima di quello di tutto il resto della popolazione, che si trova nelle loro medesime condizioni).
La missione dei caschi blu nei Balcani iniziò con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 727 dell’8 gennaio 1992 e con la successiva Risoluzione 743 del 21 febbraio 1992, che istituiva la United Nations Protection Force con il compito di sorvegliare sul rispetto dei termini del cessate il fuoco siglato a Ginevra nel 1991 tra Serbia e Croazia, al termine della prima fase del conflitto balcanico. Il mandato fu poi esteso alla Bosnia, in un’area in cui non era in atto un accordo di cessate il fuoco e in cui era inefficace procedere con un’operazione di peacekeeping tradizionale. Compiti che venivano assegnati senza provvedere in modo commisurato ai mezzi necessari per svolgerli in maniera efficace. La comunità internazionale, priva di un obiettivo politico, si dimostrava titubante sulle scelte strategiche. Solo dopo la caduta di Srebrenica venne, troppo tardi, assegnata ai militari la responsabilità di autorizzare l’attacco e l’uso della forza. Tutto questo il film di Jasmila Zbanic non lo dice mai, non lo fa vedere esplicitamente, ma lo fa capire attraverso il modo in cui guarda con compassione i caschi blu, impotenti, abbandonati ed immensamente piccoli rispetto a ciò che devono affrontare