Cannes 76 | Conann dinamita la Quinzaine: intervista a Bertrand Mandico

Conann, il nuovo film di Bertrand Mandico, mago nero del cinema francese, sorprende e sconvolge il pubblico di Cannes alla Quinzaine des cinéastes. Un film che ci permette di esplorare tutta la ricchezza dell’immaginario cinefilo del regista, che aveva già dinamitato il panorama cinematografico europeo con due lungometraggi come Les garçons sauvages e After Blue, oltre che con numerosi cortometraggi. Adesso, con il suo terzo film, nato da una esperienza teatrale, immagina una versione femminile del Barbaro più celebre della storia del genere fantasy, abbattendo i limiti del suo cinema e regalando al pubblico un’esperienza sensoriale difficile da dimenticare.

In questa intervista, ci siamo fatti raccontare le tante influenze cinematografiche che compongono il suo nuovo Conann e alcuni dettagli del suo particolare metodo di lavoro.

D: Già nei tuoi due film precedenti c’era una particolare attenzione e una cura quasi maniacale per i dialoghi, che conferivano un ritmo unico alla narrazione, creando una specie di melodia. In Conann sembra di trovarsi davanti a un musical anche se non è propriamente così. Come hai lavorato sul linguaggio dei personaggi in questo caso?

R: Ho cominciato ad immaginare la mia storia e poi, piano piano, dopo che questa era stata più o meno definita, mi sono concentrato sui dialoghi. C’è davvero poco spazio per l’improvvisazione nei miei film, perché lavoro sui dialoghi dei personaggi come si lavorerebbe sulla musica. Le attrici recitano ogni parola che ho scritto, virgole comprese. Dietro ogni linea di dialogo esiste quindi un grande lavoro di artigianato e di cesellatura. Cerco di destreggiarmi tra l’artificio di quello che scrivo e ciò che avviene, a volte anche imprevedibilmente, sulla scena. In questo caso, essendo il progetto nato a teatro, ho avuto modo, durante la lunga fase di preparazione e di prove con gli attori, di capire cosa funzionava del testo e cosa no. Inoltre, ho un metodo tutto mio di registrare i dialoghi degli attori.

Faccio una prima registrazione sul set, che mi serve solo come “memoria” di quello che abbiamo fatto in quel momento. Poi tutto viene ri-registrato in studio e sincronizziamo in post produzione, dandomi la possibilità di continuare a rimaneggiare i dialoghi anche dopo le riprese. In alcuni casi, in studio faccio sussurrare gli attori quando invece sul set, nelle scene che abbiamo registrato, questi urlavano o parlavano ad alta voce. È un modo per avere un suono molto pulito, sia per le voci che per i rumori che compongono la colonna sonora, insieme all’elettronica e al lavoro dei foley artists, ma anche per creare una contraddizione tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo. I miei film vengono “ascoltati” dallo spettatore e non solo “visti”. Devo essere in grado di rimuovere l’immagine e poter ascoltare solo il suono. Il film deve poter stare in piedi così, anche senza l’immagine.

D: Come sempre, questo tuo film è anche un atto d’amore per le attrici e un mezzo per loro di esprimersi in modi diversi e in ruoli generalmente considerati maschili. In Conann, vediamo attrici in differenti età della loro vita. Quasi una denuncia del fatto che, nella realtà dell’industria cinematografica, le donne tendono ad avere carriere più brevi di quelle dei loro colleghi maschi. È qualcosa a cui hai pensato consapevolmente per questo progetto o è ormai diventato un elemento quasi inconscio della tua poetica?

R: Sicuramente c’è un impegno politico, di militanza, su questo tema da parte mia come autore. Voglio affermare la possibilità per le attrici di sperimentare in ruoli che non vengono mai ideati per loro al cinema, anche ruoli non-binari. La scelta di chiamare attrici di età diversa e di dare loro personaggi ugualmente potenti, fieri, nel pieno della loro forza, rientra sicuramente in questa mia operazione più ampia. C’era però, in questo caso, anche la volontà di realizzare un film corale. Anzi, un personaggio che fosse corale, che contenesse in sé tanti personaggi diversi. Ogni periodo della nostra vita è differente. Non siamo sempre la stessa persona, ma cambiamo, in alcuni casi anche radicalmente. Ed è per questo che ho scelto sei attrici per interpretare Conann durante sei età diverse della sua esistenza.

D: I tuoi film mostrano sempre un interesse per i “corps dans le décor” – i corpi nelle ambientazioni cinematografiche. Come hai lavorato alla scenografia di questo film? E quanto erano grandi i set che hai costruito in relazione a ciò che effettivamente vediamo all’interno dell’inquadratura?

R: C’è sicuramente una specificità di questo film che è quella di aver utilizzato una location pre-esistente, quella di una fabbrica di acciaio ormai in disuso e abbandonata. Si tratta di una location che mi è apparsa immediatamente evocativa, specie per la presenza di questa grossa fornace, che mi ricordava, nella sua forma, un tempio dell’antichità. E così i magazzini mi sembravano perfetti per ricreare l’ambiente urbano di Brooklyn. O un campo di battaglia. Mi sono quindi affidato totalmente a queste ambientazioni e alle sensazioni che suscitavano in me.

Abbiamo girato di notte e attraverso l’illuminazione e l’aggiunta di altre decorazioni create per il film, siamo riusciti a realizzare dei set che erano qualcosa di più di semplici set: evocavano, creavano le diverse epoche del film. L’importante per me era mostrare Conann persa in queste ambientazioni, essendo effettivamente un tutt’uno con esse. Schiacciata, quasi incastonata, in queste ambientazioni. E poi era uno spazio ideale per poter utilizzare la gru (crane) per filmare, per avere una fluidità nei movimenti di macchina, ma anche per poter inquadrare sempre il terreno, rivolgere la camera verso il basso. Essere sempre a volo d’uccello. Inchiodare Conann al suolo, senza mai mostrare il cielo. Dopo tutto, siamo all’inferno e per me era molto importante che questa “costrizione terrena” fosse predominante nel film.

D: Il viaggio di Conann è anche un viaggio nella storia del cinema. Come hai scelto i riferimenti per questo film? C’è una motivazione filologica o ti sei lasciato guidare dalle tue passioni di cinefilo?

R: Ebbene sì, lavoro sul presente, sulle rovine della storia del cinema. Perché ho l’impressione che la memoria storica del cinema sia in pericolo, stia venendo progressivamente dimenticata o, peggio, demolita. Ho l’impressione che molti registi non richiamino abbastanza la storia del cinema per i miei gusti, che dimentichino molti grandi film. Ed è una colpa a cui non mi sottraggo. Per questo sento il dovere di ricordare il passato del mezzo cinematografico nel mio lavoro e l’ho potuto fare in questo film in maniera estensiva. La struttura del film segue quella di Lola Montes di Max Ophuls.

In quel caso, lei raccontava la storia in un circo che era diventato il suo inferno, rivivendo tutta la sua vita dall’alto del suo trapezio, prima del grande salto. Questa è la struttura che ho usato per costruire Conann. Il personaggio di Rainer, ad esempio, è proprio l’equivalente di Mr. Loyal di Peter Ustinov nel film di Ophuls. Poi c’è ovviamente Fassbinder, che viene anch’esso evocato nel personaggio di Reiner, ma che aleggia in tutto ciò che riguarda il melodramma presente nel film. Per il resto, è il mio inconscio che lavora. Una volta che ho scritto la mia storia, una volta che la devo dirigere, mi rendo conto che ci sono delle connessioni con alcuni film che mi hanno segnato. E in quel momento, decido di riconoscere queste connessioni e di esplicitarle.

Mi sono accorto che stavo evocando tutta una parte della storia del cinema francese che oggi non viene spesso ricordata. Quel filone di film che io chiamo “le merveilleux fantastique du cinéma français”. Tutto quel cinema che ha a che vedere con il patto faustiano. Les Visiteurs du soir di Carné e Prévert. La Bella e la Bestia di Cocteau, che in realtà è presente sempre nel mio cinema. E poi ancora La Mano del Diavolo di Maurice Tourneur e La Bellezza del Diavolo di René Clair. Poi successivamente, sempre per la parte del film legata all’antichità, mi sono ispirato all’espressionismo tedesco di Fritz Lang e alla mitologia di Siegfried. E ho guardato anche al cinema giapponese. Film come Onibaba di Kaneto Shindō, per esempio, è stato molto importante, tanto nella colonna sonora quanto nell’immaginario del periodo antico. Poi negli anni più meravigliosi, quelli dei 25 anni di Conann, ritroviamo di nuovo Cocteau, con il suo Orfeo. Ma anche John Boorman con Excalibur.

E poi c’è la digressione urbana, dove è presente molto del cinema onirico degli anni ’90. Ad esempio un film che è stato fondamentale per me, una sorta di matrice estetica, che è Rusty il selvaggio di Coppola. C’è anche The Addiction di Abel Ferrara e Nadja di Michael Almereyda. Poi c’è tutta la sequenza bellica che richiama il cinema dell’est: Come and See di Klimov e La terza parte della notte di Żuławski. Infine, nell’epilogo, l’ispirazione è venuta principalmente dall’arte contemporanea, dalle performance di certi surrealisti, ma anche da film come Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante di Peter Greenaway, La Grande Abbuffata di Marco Ferreri e Il fascino discreto della borghesia di Buñuel. Tutti questi capolavori sono presenti. Spero che il mio film li abbia ben digeriti.

Crédits immagine articolo: La Quinzaine des Cinéastes / Susy Lagrange. Intervista originariamente pubblicata su NewsCinema.it