Gloria Bell, Sebastián Lelio rifà se stesso trovando una inedita vena sognante
Ogni remake cinematografico è sempre implicitamente un’indagine sul tempo che è trascorso dal primo film al suo rifacimento. Questo è ancora più vero se a dirigere il remake è lo stesso regista dell’opera originale. Gloria Bell, remake di Sebastián Lelio del suo Gloria del 2013, racconta di nuovo di una donna in là con gli anni, sola ma in cerca ancora di qualcosa, eppure stavolta quella medesima storia sembra essere pervasa da un’atmosfera sognante assente nell’originale e propria del luogo (Los Angeles) in cui questa adesso si svolge. Il “tramonto” della giovinezza di Gloria emerge ora direttamente dalle immagini, nella ricerca del momento in cui il sole copre il mondo con la sua luce ocra. E anche quando il sole non c’è, è come se rimanesse impresso sui capelli della protagonista, il cui rosso è “contaminato” da venature giallastre che sembrano il residuo di un dagherrotipo che lo proietta anche quando è ormai uscito di scena.
Naturalmente il passaggio ad una dimensione “hollywoodiana” permette a Lelio di avere a disposizione attori molto noti e di sfruttare brillantemente la loro presenza scenica (e il ricordo che lo spettatore ha di questi attori famosissimi nella sua memoria cinematografica) per dare una diversa caratterizzazione dei personaggi rispetto all’originale. Forse anche per questo la Gloria di Julianne Moore, quasi sempre associata a ruoli femminili molto forti e attrice sempre a suo agio con il proprio corpo, oggi come ieri, appare meno fragile di quella di Paulina García. Non è una Gloria che chiede l’attenzione di chi la guarda, che cerca le premure dello sguardo del pubblico, ma una Gloria che è stata “già guardata”, che può fare a meno degli occhi dell’ennesimo spettatore. Come in Disobedience, in cui l’amore clandestino di due donne non era solo un atto di disobbedienza sommessa, mai eclatante ed urlata, nei confronti della religione che lo ostacolava, ma soprattuto un gesto di ribellione verso le altre persone, dal cui giudizio dipendeva la stabilità e la felicità di chi lo subiva, così anche in Gloria Bell gli “altri” sono spesso visti come un peso di cui liberarsi. Un sentimento già presente nel film del 2013, ma che adesso viene amplificato nella sua amarezza dalla presenza in scena di attori così riconoscibili, belli e celebri, il cui grandioso passato cinematografico (che il pubblico conosce) pesa sulle spalle dei personaggi che interpretano.
Se nella versione originale la carne di Gloria era la carne del Cile, su cui emergevano ancora evidenti i segni della dittatura, nella versione americana lo “scontro” si sposta dal piano politico (si discute brevemente della circolazione delle armi, ma rimane un tema molto marginale) su quello sessuale. È contro una determinata visione della donna imposta dalla società maschilista, che bisogna prendere il fucile (metaforicamente, infatti l’arma è quella del paintball) e scendere in strada per sparare contro ciò che ancora rimane di quel mondo patriarcale. Ma soprattutto Lelio sembra aver appreso una delle regole principali del cinema americano: la necessità di essere universale, di parlare a chiunque, di essere “immerso” in una precisa realtà geografica e allo stesso tempo “traslabile” ovunque. Se il film del 2013 voleva quindi rendere omaggio all’omonima opera di John Cassavetes del 1980 (anche Gena Rowlands era una donna che sparava), adesso Lelio aggiunge il cognome nel titolo come a suggerire dei modelli differenti, più moderni ma non per questo meno ricercati.
La colonna sonora di Matthew Herbert capisce perfettamente questa esigenza di indeterminazione spaziale e, lavorando sulla musica come farebbe Johnny Greenwood per Paul Thomas Anderson, immerge la narrazione in una dimensione metafisica, in uno spazio identificabile eppure “vuoto”, che necessita di essere riempito dallo spettatore. Come nella versione originale, risuonerà di nuovo Gloria di Umberto Tozzi, per l’occasione nella cover americana di Laura Branigan. In quella scena, ancora una volta, in Gloria Bell come in Gloria, sta tutta la forza di un cineasta capace di trasformare un momento potenzialmente kitsch in un attimo di raffinatezza cinematografica commovente.