EFA 2024, Maura Delpero punta agli Oscar come Davide contro Golia / INTERVISTA


Due candidature ma niente da fare per Vermiglio agli European Film Awards (EFA) 2024, la cui cerimonia di premiazione si è svolta quest’anno a Lucerna, in Svizzera. Il film di Maura Delpero, scelto per rappresentare l’Italia ai prossimi Oscar, era candidato nelle categorie Miglior Film e Miglior Regista, ma è stato oscurato dalla vittoria a valanga di Emilia Pérez di Jacques Audiard (che a questo punto ha la nomination agli Oscar già assicurata non solo nella categoria miglior film in lingua straniera, ma anche in quelle più pesanti).

La presenza di Vermiglio come unico film italiano candidato agli EFA è stata però già di per sé una nota positiva e di prestigio, che aggiunge ulteriore visibilità al film impegnato in questo periodo nella campagna Oscar. Una sfida tutt’altro che semplice, come ci spiega la stessa regista, raggiunta a Lucerna poco prima della cerimonia degli EFA per farci raccontare ambizioni, sogni, strategie, di questa campagna.

EDIT 9/12/2024: Vermiglio è ufficialmente tra i contendenti nella categoria di Miglior film in lingua straniera ai Golden Globes 2025.

Il successo internazionale di questo film non era affatto scontato e immagino che anche tu ti sia chiesta all’inizio quanto questa storia potesse interessare un pubblico ampio, distante, geograficamente e non solo, da quello che racconti. Quanto è stato utile l’aver presentato il progetto a tre diversi laboratori internazionali, potendo quindi confrontarti con colleghi stranieri?

Tantissimo. La grande domanda all’inizio è stata proprio quella che dici tu: ma di questa storia importa qualcosa a qualcun altro oltre a me? Mi sono iscritta ai laboratori internazionali per rispondere a questa domanda e per un anno intero ho lavorato alla sceneggiatura con il vantaggio di poterla far leggere a dei colleghi stranieri, provenienti da realtà anche molto diverse dalla mia, sondare il potenziale universale di questa storia e magari aggiustare il tiro lì dove serviva. Anche se devo dire che al di là di piccoli dettagli personali che ho rimosso, e a un più generale lavoro di sintesi che va sempre fatto, tendenzialmente da subito ho capito che la storia toccava tutti perché parlava di questioni umane capitali: la vita, la morte, il desiderio, l’autodeterminazione. Questioni che vanno al di là dello spazio e del tempo. E soprattutto ho capito che nel momento in cui sei molto “locale”, paradossalmente hai la forza di raggiungere molte persone in giro per il mondo, perché parli di qualcosa di cui hai una conoscenza approfondita e quindi riesci meglio a raccontare un altrove che risuona anche con altre persone. La dimensione del villaggio di Vermiglio, legata alle tradizioni autoctone, di un mondo trentino, di valle, segue le dinamiche sociali di qualsiasi altro luogo di confine o di altre comunità così piccole.

Come procede la campagna di preparazione agli Oscar?

La campagna Oscar è qualcosa di molto costoso e attualmente il nostro budget è abbastanza contenuto, anche perché quest’anno non sappiamo ancora se verrà rifinanziato il fondo ministeriale dedicato a sostenere la campagna dei film italiani. Non si sa ancora se e quando si potrà accedere al fondo e questo rende tutto difficile, soprattutto quando si ha a che fare con dei rivali giganteschi, che investono milioni di dollari, come Netflix. È la sfida di Davide contro Golia. Ma non è la prima volta che ci succede, anche alla Mostra del Cinema di Venezia probabilmente eravamo tra i più piccoli ed è andata a finire come sappiamo (con la vittoria del Leone d’Argento, ndr). Però agli Oscar il sostegno finanziario fa la differenza, perché quel che conta è il numero di proiezioni che puoi organizzare per far vedere il tuo film al maggior numero di votanti possibile. Le prime proiezioni sono andate bene in termini di affluenza e di interesse per il film, stando a quanto ci dicono da Sideshow-Janus Films (che cura la distribuzione in America, ndr).

Il team di Vermiglio agli EFA 2024

Sei stata sorpresa dalla scelta della commissione di scegliere il tuo film per rappresentare l’Italia?

Credo sia capitato per un incrocio di diversi fattori. Innanzitutto la qualità del film e poi la garanzia di un distributore americano, ma conta molto anche quella che è stata la risposta della stampa estera al film fino a questo momento, che nel caso di Vermiglio è stata fortunatamente molto unanime, in senso positivo. Quello degli Oscar l’ho sempre sentito un mondo lontano e anche dopo il Leone d’Argento, quando si è iniziato a parlare seriamente di questa possibilità, continuavo a sentirmi un po’ in imbarazzo. Ed è stato tutto molto veloce, tanto che non ho avuto il tempo di agitarmi, o di esaltarmi. È subito diventato un lavoro, quello di accompagnare il film in questo percorso, che ovviamente non capita tutti i giorni di poter fare. C’è stata Venezia, poi ho girato l’Italia per presentare il film in sala con il pubblico e subito dopo mi sono ritrovata a gestire questa cosa.

Si è parlato molto della tua dichiarazione a Venezia, quando hai raccontato di aver allattato tua figlia sul set, durante la lavorazione del film (e alcune delle immagini con la bambina sul set sono state mostrate durante la cerimonia degli EFA, ndr). Il cinema è ancora un mondo per maschi?

Quella dichiarazione è stata un’arma a doppio taglio perché adesso quando parlo con i giornalisti ci si ferma sempre a quell’aspetto lì, quando invece vorrei parlare delle questioni che attengono il mio cinema, delle scelte di scrittura, di regia. Come accade per i miei colleghi uomini. Dover affrontare questi temi, togliendo il tempo ad altro, per me è una rinuncia. Ma allo stesso tempo sono convinta di doverlo fare, fino a quando non ce ne sarà più bisogno. Il problema oggi c’è ed è innegabile: non ci sono forme di sostegno e la cosa è derubricata a un fatto privato. Non si pensa alla maternità come a qualcosa di collettivo. È una battaglia politica che va fatta e quando me lo chiedono, sento di doverne rendere conto.

Ovviamente il femminile è centrale anche nel tuo film, ma credo che nel tuo cinema ci sia sempre anche un’attenzione particolare agli outsider, agli esclusi…

Beh, è vero. In questo caso la si trova nell’amicizia tra Ada e Virginia, che è un’amicizia che nasce dall’incontro tra due solitudini. Le solitudini degli outsider, appunto. Perché Ada è la classica pecora nera della famiglia, essendo anche la figlia di mezzo, per la quale nessuno ha mai troppo tempo, e Virginia è un’orfana di guerra, con la madre che è violenta nei suoi confronti. Lì c’è un incontro fuori dagli schemi, in un piccolo mondo segreto che è tutto loro. Si riconoscono, pur nella loro diversità. E la loro relazione è basata sul potere, certo, perché una di loro è più grande, più seducente, ma è anche una relazione in costante movimento e trasformazione, come dimostra l’ultimo abbraccio tra di loro, quando è Ada a trovare il coraggio per andare a salutare Virginia.

Racconti queste persone sullo sfondo di un’Italia poco rappresentata al cinema…

Esatto. Credo sia interessante per il pubblico, sia nazionale che estero, vedere quell’Italia che è stata poco rappresentata, quella dell’estremo nord. In molti hanno citato Olmi parlando di questo film, per una serie di ragioni, ma forse anche perché non c’era molto altro da citare. Se fai un film sulla mafia, hai duecento altri esempi a cui paragonarti. Quando ho dovuto scegliere gli attori protagonisti, mi ero ripromessa di scegliere solo attori di quei luoghi, anche perché lavorare con l'accento sarebbe stato più facile. Ma non è stato semplice trovarli e infatti anche Tommaso Ragno è del Sud Italia, pur avendo vissuto tanto tempo in Lombardia. In quei luoghi l’industria cinematografica è meno sviluppata. E quindi quell’Italia è meno raccontata.

Come hai lavorato sul territorio, vista la grande attenzione che riponi nell’autenticità dei tuoi film?

La IDM Südtirol mi ha sostenuto fin dall’inizio, da quando esiste. I primi due documentari li ho realizzati quando la IDM non esisteva ancora, ma già con il terzo (Nadea e Sveta, ndr) hanno contribuito, pur essendo il film ambientato tra Bologna e la Moldavia. Sono stati presenti in sviluppo su Maternal e finalmente è arrivato un film come Vermiglio su cui hanno giocato un ruolo decisivo. Molti dei nostri collaboratori venivano da lì. Non siamo riusciti invece a ottenere il contributo della Sicilia Film Commission, tanto che quella Sicilia che si vede nel film l’abbiamo dovuta ricreare altrove, nel Lazio… e questa cosa è stata dolorosa per me, che lavoro così tanto con l’autentico, appunto.

In America si tende ad avere un’immagine piuttosto stereotipata del nostro Paese. Credi che questo film possa aiutare ad arricchire la narrazione che di noi facciamo all’estero?

Il film negli Stati Uniti esce il 25 dicembre, quindi ad oggi ho incontrato un pubblico molto specializzato, che è quello dei votanti agli Oscar, che riconosce anche delle scelte precise di linguaggio. È una specie di micro comunità. E non li ho sentiti lontani, anzi. Ho trovato con loro più analogie che differenze, nel modo in cui si sono approcciati al film. Forse questo ci dice anche che viviamo in una società molto influenzata dagli Stati Uniti (ride, ndr). Con Maternal, ad esempio, mi sono ritrovata davanti a reazioni effettivamente inaspettate, come ad esempio in Corea. In questo caso, invece, parlando dell’America, direi che quello che emoziona noi emoziona anche loro. E poi c’è la dimensione della migrazione negli Stati Uniti che è molto forte e influisce. Quando sono andata a presentare il film al Toronto Film Festival, mi sono ritrovata una comunità di trentini davanti al cinema, molti dei quali col mio stesso cognome! E magari per l’Oscar li coinvolgeremo nella campagna… sarebbe carino.

Spesso le campagne per gli Oscar si basano anche su endorsement di personaggi celebri. Si è fatto avanti qualcuno?

Proprio qui a Lucerna ho incontrato Agnieszka Holland, che non vedevo da quando mi ha consegnato il Leone d’Argento a Venezia. Mi ha detto: io ci sono. E questa è una bellissima notizia. Possiamo registrare alcune conversazioni da caricare sul portale degli Oscar, che è un’occasione molto gratificante perché puoi parlare del tuo film con personalità illustri, andando in profondità. Ne abbiamo registrata una con Alice Rohrwacher, che è stata davvero commovente. Anche altre persone si sono fatte avanti e vedremo se effettivamente riusciremo a fare qualcosa anche con loro.

In tutto questo, hai tempo per pensare ai tuoi prossimi progetti?

Assolutamente no (ride, ndr). Ho provato a scrivere qualcosa, ma non ce la faccio. Anche perché io devo in qualche modo isolarmi, concentrarmi molto sulla scrittura, sulla lettura, sullo studio. E questa tranquillità oggi non c’è, dal momento che ci sono tutti questi impegni. Ma devo dire che alla fine è anche naturale che sia così. È necessario rigenerare le cellule tra un film e l’altro. Prendersi il tempo necessario, come quando si esce da una storia d’amore.