Venezia 80 | Il “Coup de chance” di Woody Allen ride dell’illusione del controllo
Non è sicuramente un “Coup de chance” quello di Woody Allen, che al suo cinquantesimo film da regista (il primo recitato interamente in francese) firma uno stranissimo e bellissimo polar travestito da commedia, con alcuni dei personaggi -maschili – più detestabili della sua filmografia, che con le loro ossessioni, manie di controllo e di possesso, trascinano di tanto in tanto la narrazione, altrimenti godibilissima e sinuosa, sui toni più cupi di Match Point. Elementi di inquietudine come improvvisi tagli di luce (quelli di Vittorio Storaro) cambiano improvvisamente la temperatura del film, mettono in crisi i due giovani amanti che si ritrovano dopo gli anni del liceo, stavolta lontanissimi dalle nevrosi tipiche di Allen, ma invece felicemente innamorati e genuinamente bohémien, appagati dalle loro passeggiate e dai loro pranzi sulle panchine di Parigi. A differenza di suoi colleghi e coetanei come Polanski e Friedkin, che nell’ultimo periodo della carriera si sono rifugiati negli spazi confinati del teatro – sistemi chiusi, modellini in scala su cui è più “facile” avere presa ferma – il cinema di Allen ha oggi più che mai bisogno di respirare, di correre en plein air e di seguire gioiosamente i suoi protagonisti in questo finto thriller in cui tutti i passaggi di trama indispensabili al genere (indagini, omicidi, occultamento delle prove) vengono risolti in maniera velocissima, comicamente dozzinale, e senza alcuno sforzo.
È la volontà, l’illusione del controllo, che Allen amplifica con una regia mai così dinamica, in grado di trasmettere l’idea che tutto il vigore e l’eccitazione della nostra vita volontaria dipendano dalla nostra sensazione che le cose si decidano realmente da un momento all’altro, nel tempo di un “colpo”. Movimenti di macchina audaci e scelte precisissime di messa in scena contribuiscono a questa falsa sensazione di totale padronanza di ciò che accade, esaltata da un uso delle luci mai così rigido, schematico e assolutamente binario (come sempre giocato tra i toni del blu per i momenti di malinconia e l’arancione per le fughe amorose). Tutto procede a grandissimi passi fino a quando un ultimo, geniale, “coup de chance” riconsegna lo spettatore alla volatilità dell’esistenza umana: più triste, più solo, più spaventato, ma con una consapevolezza in più. Che la volontà, come già sosteneva Hume, è solo una sensazione, nient’altro che l’impressione che proviamo dentro di noi, e di cui siamo consapevoli, quando deliberatamente produciamo un nuovo movimento nello spazio.