Amichemai | Nichetti torna (finalmente) al cinema con una commedia che denuncia i suoi limiti
Maurizio Nichetti ha avuto l’indubbio merito di tentare di fare un cinema diverso, un cinema che in Italia non si fa mai, cioè quello che riflette apertamente su se stesso, anche dal punto di vista della messa in scena (solitamente lo si chiama metacinema) e che mostra apertamente i dispositivi registici utilizzati. Già con Ladri di Saponette, nel 1989, aveva tentato un discorso metafilmico appunto sul tema della fruizione del cinema in televisione, non soffermandosi alla banale e sterile critica alle interruzioni pubblicitarie (che era solo la superficie dell’analisi), ma cercando di andare più a fondo sulle conseguenze di un film fruito in casa, rispetto a un film fruito al cinema. Insomma, un argomento ancora oggi attualissimo, che apre dibattiti potenzialmente infiniti, e sul quale la cosa più intelligente è stata detta ultimamente da un’altra illustre “dimenticata” del cinema italiano, ovvero Liliana Cavani: «Il cinema ci porta fuori, nella vita. Le serie tv vanno bene per chi non vuole più camminare, per chi vive in casa».
Nel caso di Ladri di Saponette, un film neorealista si contaminava con degli imprevisti provenienti dalla realtà: Nichetti-regista del film veniva risucchiato dentro di esso e tentava di farlo andare avanti normalmente, mentre i personaggi delle pubblicità, anch’essi risucchiati dentro, remavano contro, sconvolgendone la trama. Un film che veniva fruito da una famiglia in casa senza che nessuno però fosse davvero interessato a ciò che passava sullo schermo: il padre leggeva il giornale, il figlio non riusciva mai a mantenere l’attenzione alta per più di qualche minuto e la madre distratta alla fine si commuoveva giusto per la scena del bacio che chiudeva la storia. Intanto, negli studi televisivi che mandavano in onda il film, si consumava un alto dibattito cinefilo, fine a se stesso e sempre più lontano dal pubblico.
A distanza di vent’anni dall’ultima volta, Nichetti torna sul grande schermo con Amichemai, un film scritto e co-sceneggiato dal regista con Angela Finocchiaro e Cristiana Mainardi, che coniuga ancora una volta commedia surreale e meta-cinema in un modo fiabesco e scanzonato. In vent’anni, ovviamente, è cambiato tutto nel mondo dello spettacolo, nel modo di vedere i film, nel modo di girarli. Ed è per questo che Amichemai aggiorna la formula di Ladri di Saponette per toccare anche altri aspetti dell’audiovisivo che oggi non si possono ignorare: specialmente la tendenza alla “tiktokizzazione” e a sfruttare influencer e “content creator” come veicoli promozionali del film, concedendo loro la possibilità di visitare il set e documentarne lo svolgimento in tempo reale per i propri followers.
Questo Amichemai, però, non è davvero una versione “modernizzata” di Ladri di Saponette, piuttosto una sua versione dichiaratamente low budget, molto più malinconica e meno militante, che prende atto dello stato delle cose più che polemizzare con esso. È una satira dalle “armi spuntate”, a causa del modesto budget messo a disposizione di un regista che per tutto questo tempo è stato lontano dalle scene anche perché quasi più nessuno era disposto a produrre un suo nuovo lungometraggio. L’estetica è quindi quella di un digitale utilizzato un po’ controvoglia, in alcuni momenti volutamente pauperizzato, tanto da far venire alla mente la messa in scena di altri registi europei che si occupano di commedie spesso “povere”, come Mariano Cohn e Gastón Duprat nelle loro opere più indipendenti, ma soprattutto Benoît Delépine e Gustave Kervern. Amichemai ricorda proprio il loro Saint Amour: uno scalcinato road-movie che diventa una vera e propria discesa nella disperazione comica.
Se il film di Delépine e Kervern era una sottile parodia di Sideways e di tutto quel filone delle sofisticate commedie enologiche, in uno slittamento verso il basso rispetto a quegli standard di raffinatezza, il film di Nichetti è una presa in giro di un linguaggio televisivo – i droni, qui finalmente distrutti a calci! – che è finito per imporsi anche al cinema, spesso a causa del sostegno finanziario di film commission regionali che poi impongono determinati tipi di inquadrature standardizzate (le dronate, appunto) per “valorizzare” i loro paesaggi. Amichemai è infatti anche un film contro un determinato tipo di sistema produttivo e di finanziamento, che non si avvale di contributi da parte di televisioni o proprietari di piattaforme, che rivendica la sua esistenza solo nelle sale cinematografiche. Come ne El Ciudadano Ilustre una terribile presentazione in PowerPoint suscitava la risata del pubblico, per l’approssimazione con cui era stato utilizzato lo strumento digitale, così dei rendering raffazzonati delle principali città italiane sommerse dall’acqua ci mostrano un’apocalisse climatica in una brutta computer grafica. Ancora una volta, più che un semplice compromesso, sembra la volontà di denunciare la mancanza di strumenti adeguati per poter seriamente affrontare quel tema al cinema.
Come Angela Finocchiaro nel film, che non vede suo marito da anni e se lo ricorda più bello, gentile e affascinante di quanto non lo fosse in realtà, così Nichetti rende evidente il trauma di essere tornato a lavorare in un contesto industriale e di mercato che è persino peggiore di quello che aveva lasciato due decenni fa. Così sceglie di realizzare un film che mette in evidenza le sue fragilità, i suoi problemi di continuità, le difficoltà economiche nel terminare alcune scene, sfruttando in maniera comica e inventiva tutti gli imprevisti che – per davvero – hanno attanagliato la produzione. Ma il famoso “sistema cinema” italiano non è l’unica cosa a esistere solo nei comunicati istituzionali e non nella realtà, ma anche l’Europa che le due donne attraversano è un’Europa immaginaria, senza frontiere solo in teoria (proprio nei giorni della realizzazione del film, ironia della sorte, venne chiusa la rotta balcanica sulla quale le due protagoniste viaggiavano).
Infine Nichetti, va ricordato, è anche l’autore che più consapevolmente ha saputo travasare nel cinema mainstream gli stilemi del fumetto, essendo cresciuto alla scuola del grande Bruno Bozzetto ed essendo devoto al cinema muto di Charlie Chaplin e Buster Keaton, da lui sempre venerati. E quindi non stupisce che anche in questo nuovo Amichemai emerga uno spiccato gusto per la composizione della “tavola”, con i telefonini in sovrimpressione che disegnano una griglia, proprio come nei fumetti, un amore per la comicità fisica nel racconto delle divertenti peripezie di due donne simili (Finocchiaro con Serra Yilmaz) per età ma diverse in tutto, che per motivi legati a un’eredità decidono di affrontare un viaggio di sola andata verso la Turchia. Eppure, non essendoci mai una presenza davvero rilevante del Nichetti-attore in scena, questo tipo di comicità non coinvolge più il suo corpo, la sua fisicità atipica, ma viene traslato principalmente sul sound-design, sulla velocizzazione umoristica delle immagini, richiamando Jacques Tati e Le vacanze del signor Hulot.